Di nuovo a bordo
una chiacchierata con Michele Gazich

(a cura di David Nieri)

C'era una certa curiosità. Non era facile capire quale rotta avrebbe seguito la nave dei folli capitanata da Michele Gazich, un bravissimo artista che dopo essersi fatto le ossa grazie a collaborazioni importanti ha intrapreso un percorso personale, dando vita a un progetto originale e decisamente affascinante. Dopo la prima fatica risalente a poco più di un anno fa, le vele sono riapparse all'orizzonte, gonfie di poesia e intime sensazioni che vanno oltre lo schema canzone per portare freschezza e lucidità in un panorama, quello italiano ma non solo, che ha senz'altro bisogno di idee e proposte di spessore. Dieci esercizi per volare, secondo capitolo di un libro che, a quanto pare, offrirà altre pagine da sfogliare con cura, va addirittura oltre il suo predecessore. Una commistione di stili, dal cantautorato al folk, per approdare al cospetto di lidi inesplorati e sorprendenti, con raffinate atmosfere a cullare le riflessioni dell'autore, che ci invita a pensare, a viaggiare con la mente. Perché lo sappiamo, le canzoni di Michele non sono soltanto canzoni. Una differenza sostanziale rispetto a "La nave dei folli" è rappresentata dall'uso della chitarra (un notevole Marco Lamberti), che imprime energia e pacatezza alle varie composizioni, dipingendone il registro comunicativo. Ascoltare i dieci esercizi è un modo per pensare alla vita, senza intellettualismi, senza retorica, con un senso della realtà quotidiana riflessa da una prospettiva particolare. Ascoltare i dieci esercizi è anche un modo per capire, grazie alla prima canzone, qual è la radice di un mito che gli amanti della buona musica senz'altro non mancheranno di apprezzare, quella pietra che rotola dalle suggestioni antiche. Parlare con Michele è un enorme piacere. Una persona squisita, con la quale è bello condividere un'emozione. È lui che ci trascina nel suo mondo, mettendo in luce gli aspetti più importanti della sua arte, i progetti futuri, le iniziative, le speranze. Non resta che imbarcarci di nuovo, facendoci accarezzare dalla brezza marina della poesia.

Michele Gazich e La Nave dei Folli - Dieci esercizi per volare [Fono Bisanzio 2010] 7.5


L'intervista

Innanzitutto complimenti per il secondo viaggio della nave dei folli, in cui ho notato un affinamento della rotta in direzione di un percorso compiuto, più delineato e unitario rispetto all'album precedente. Tu stesso hai dichiarato che "il primo album era il disegno, in questo ci ho messo i colori". Adesso manca la cornice, che ci auguriamo di poter vedere realizzata nel terzo capitolo di questo progetto decisamente originale, magari con lo strumento che ancora non ha risposto all'appello, la batteria, anche se in effetti non se ne sente la mancanza…

Grazie, innanzitutto, per avermi ascoltato ancora una volta con attenzione. Più che la cornice, il prossimo lavoro vorrei che fosse il cuore. Sto già lavorandoci: sarà una collezione di canzoni caratterizzate da immagini forti, espressioniste. Il colore del prossimo album potrebbe essere il rosso del sangue. Ma per ora torniamo a guardare il cielo azzurro dei Dieci esercizi per volare.

Dieci esercizi per volare sembra sciogliere i fili di un passato intessendoli in un ordito classicamente moderno, recuperando una tradizione, la nostra, che viene mal digerita dagli artisti di casa, o almeno questa è l'impressione. In un'epoca in cui ci si allinea e ci si globalizza, musicalmente parlando e non solo, all'interno di un suono stereotipato e privo di anima, sono pochi i musicisti che si cimentano in un'impresa del genere. Tu lo hai fatto, dimostrando coraggio e idee chiare. E i riscontri che hai avuto sembrano darti ragione.

Ogni volta che costruisco un album cerco di fare del mio meglio, anche con l'idea che possa essere l'ultimo. Sono dunque lieto di trovarmi a parlare di un secondo CD già pubblicato. I riscontri sono stati molto positivi per il primo, lo abbiamo addirittura ristampato. E i segnali di una significativa attenzione per i Dieci esercizi per volare ci sono già. È un successo inaspettato per me e per l'etichetta discografica che ho fondato, la FonoBisanzio. Ciò conferma una mia vecchia teoria, cioè che non è vero che i dischi non si vendono più. Certo, bisogna curare ogni particolare, oltre al contenuto anche l'oggetto, il booklet, la confezione, in modo che sia bello possederla insieme alla musica. Come nel caso precedente, il booklet è quasi un piccolo libro, in cui sono riportati i miei testi in italiano, con traduzione inglese di Mark Olson, i disegni originali di Alice Falchetti e le fotografie in esclusiva di Cinzia C. Ci sono major discografiche che, pur avendo i soldi, non hanno amore. Molti CD che vediamo in giro sono un'istigazione al download, con uno striminzito foglietto in un'odiosa confezione di plastica! C'è tutta un'Italia che non si riconosce nella spazzatura paratelevisiva, c'è tutta un'Italia, che io incontro quotidianamente, che vuole e apprezza idee originali, la poesia e il suono vero degli strumenti e di una voce. Nei miei concerti e nei miei album è tutto vero, c'è carne, c'è vita. Noi siamo gli idioti che non hanno pudore di amare: "Signore e Signori: gli Idioti sono tornati in città!".

L'album, sin dal titolo, ruota intorno alla metafora della vita, del viaggio esistenziale inteso e rappresentato come un volo, con il conseguente impiego della simbologia legata all'angelo, presente addirittura in quattro titoli di altrettanti brani. L'angelo è anche il punto di incontro tra il quotidiano e il soprannaturale, l'entità che dovrebbe guidarci nel corso del nostro difficile cammino. È così che possiamo intendere l'intero progetto, la ricerca di un punto di equilibrio tra due assi che spesso scricchiolano sotto il peso di una società inerme, deresponsabilizzante e superficiale?

Sì, è molto giusta la tua lettura. I miei non sono angioletti stile Liberty, con riccioli d'oro e camicioni color pastello. Sono figure inquietanti e ammonitrici, che ci ricordano che gli unici momenti di contatto con il soprannaturale, nella nostra vita, non possono essere solo la nostra nascita e la nostra morte. La società che ci circonda è certamente deresponsabilizzante e superficiale, ma per fortuna non inerme. Dobbiamo difenderci ogni giorno con la forza del nostro cuore, con le spade degli Angeli.

Molto interessante il brano L'angelo ubriaco, in cui un piano elettrico ci riporta alle atmosfere degli anni settanta, con un testo forte e significativo che narra di una guida che nel caos ha perso la bussola per orientarsi, vittima anch'essa di una condizione umana desolante. A un certo punto implora "Insegnami a capire il dolore", quasi fosse un modo per redimersi e ricominciare. È giusta la mia interpretazione?

Più che per redimersi e ricominciare, per entrare in contatto con l'umano, per uscire dall'eterno ed entrare nel qui e ora. Operazione difficile, quasi impossibile per un angelo, anche se ubriaco, dunque già imperfetto. Ho provato a raccontare di un Angelo in fuga dalla sua eternità, bramoso di vita. Il wurlitzer electric piano certamente allude agli anni settanta, ma devo dire che l'ho utilizzato soprattutto perché donava al brano un'atmosfera surreale. Ospite al wurlitzer è il mio amico Beppe Donadio.

In Non ho ali, con chiari riferimenti a "Il cielo sopra Berlino", uno dei capolavori di Wenders, si assiste a una sorta di comunione tra folk e rock, con un uso marcato della chitarra elettrica e un refrain in cui il tuo magico violino riporta quiete e intimità. Qui l'angelo, come nel film citato, anela a una condizione terrena, invidiandone la verità della vita che si porta addosso. Che cosa può insegnarci un brano come questo?

Gli Angeli di Wenders sono proprio esseri infiniti che desiderano diventare finiti, diventare uomini. È un ribaltamento della prospettiva abituale, quella che porta noi, esseri finiti, a desiderare di non morire, di essere eterni, felici e senza dolore. Se proprio vogliamo trovare un insegnamento nel mio lavoro, può essere l'invito ad accettare, ad amare veramente la propria vita in tutte le sue sfaccettature.

Parlando di quotidianità, dei nostri confini e orizzonti limitati, mi ha molto colpito Hai mai sentito ardere il tuo cuore?, prima di tutto a livello musicale, un rock vibrante che sconfina nel punk, poi, soprattutto, per quanto riguarda le liriche, una denuncia violenta del tempo presente, aggressiva, arrabbiata. Nei versi tu affermi che c'è tempo per un hobby, per il consumo compulsivo, per gli animali a quattro zampe come unica ragione di vita che spesso si dimentica di quell'essere che si regge su due (di zampe). Cito testualmente: "Non hai tempo per l'Amore ma rinnovi l'antivirus". È guerra civile, è questo il grande conflitto che annebbia la nostra mente, facendoci dimenticare le coordinate entro le quali ci muoviamo. Nel garage c'è spazio per il Suv, non per i giochi dei bambini. Nel cuore c'è spazio per l'avidità di possesso, non per l'amore, un sentimento che va condiviso, magari ceduto, nel migliore (o peggiore, secondo come lo interpretiamo) dei casi. Ma la speranza c'è ancora, mi sembra di capire.

Hai mai sentito ardere il tuo cuore? è un grido rabbioso, un invito a mostrare i propri sentimenti in questo mondo che cerca di farceli dimenticare. Personalmente, preferisco ancora incontrare gli amici al bar piuttosto che via internet, toccare corpi, sentire odori e voci. È incredibilmente bello e soddisfacente e intenso. Ti racconto una novità al riguardo. Di recente, non contento di aver appena pubblicato Dieci esercizi per volare, ho prodotto un miniCD dal titolo Collemaggio. Collemaggio è il monumento simbolo de L'Aquila, e ora anche il simbolo del centro della città, militarizzato e sottratto ai suoi abitanti. Collemaggio è anche una canzone che ho composto. Il 6 e il 7 aprile 2010, con La Nave dei Folli, a L'Aquila, in occasione dell'anniversario del terremoto, abbiamo suonato tre concerti in un giorno e mezzo gratuitamente, come gratuito è stato l'ingresso allo spettacolo. A L'Aquila tanti sono venuti a prendere, davvero pochi a dare. Quasi nessuno adesso, un anno dopo il terremoto, quando è scemata l'emotività vuota e teatrale dei media e sono rimasti solo la solitudine e il dolore degli uomini. È stata una meravigliosa occasione d'incontro con tante persone, un'occasione in cui sentimenti e arte si sono mostrati nudi. Vorrei segnalare che l'incasso della vendita del CD Collemaggio (contenente la canzone omonima e altri due brani) sarà interamente destinato a un fine molto concreto, il restauro di Santa Maria Degli Angeli, una piccola Collemaggio. Il terremoto ha inferto gravi lesioni interne danneggiandone la facciata medievale e l'antico rosone. Il CD è acquistabile direttamente da Giuseppe Dell'Orso, professore di Liceo a L'Aquila che mi ha aiutato a capire cosa è successo e cosa non è successo nella sua città durante l'ultimo anno (orsogi@gmail.com). Fate ardere il vostro cuore!

Molto più intima e poetica Chi vede l'Angelo?, in cui l'arpeggio di chitarra acustica, sfiorato dal suono della viola, discioglie un incontro tra i due piani, il naturale e il soprannaturale. Quando quest'ultimo si manifesta non dobbiamo temerlo, non dobbiamo scappare. Anche questa è una metafora della nostra esistenza: lo stesso amore, quando si manifesta, è un vero e proprio miracolo, la rivelazione di una volontà divina (per chi ci crede), oppure il punto più alto e più significativo di una vita intera, comunque lo si voglia decodificare. Sei d'accordo?

Proprio così. La tua interpretazione è chiara e forte. Non devo aggiungere niente. Colgo piuttosto l'occasione per ricordare l'equipaggio de La Nave dei Folli. Fabrizio Carletto al basso, che ha il non facile compito di essere il nostro cuore, il ritmo. La sua curiosità musicale lo ha portato ad avere una cultura enciclopedica, ma mi piace farti osservare che sullo sfondo del suo riconoscibile stile c'è sempre la musica popolare delle sue parti (le vallate del basso Piemonte che vanno verso la Francia), le curente e i balet. La grande novità dei Dieci esercizi per volare è la chitarra di Marco Lamberti, che in concerto presento sempre come "Il Maestro dell'anima", perché il suo stile (ad esempio l'arpeggio di Chi vede l'Angelo?) ha una dolcezza che trasporta in altre dimensioni. La voce di Luciana Vaona, poi, è evocativa, sognante, e ci ha accompagnati fino ai Dieci esercizi per volare con classe e maestria cristalline. Dal miniCD Collemaggio è salita a bordo Anna Petracca, la nuova cantante de La Nave dei Folli. Luciana è stata portata verso altri lidi dal suo spirito di avventura e di ricerca artistica. Anna è stata per me, per la mia ricerca, una svolta importante: la sua voce dà ulteriore peso e forza alle mie parole, dal sogno alla realtà, dal cielo al cuore. Concludo citando il nostro tecnico del suono Paolo Costola, che ci segue dal vivo e in studio. Di fatto è un altro membro del nostro gruppo, anzi lo è a tutti gli effetti: in Canzone della pietra che rotola e nei Dieci esercizi per volare è lui che suona il mandolino.

Bellissimo il brano che dà il titolo all'album, una filastrocca in rima baciata che dosa antichi sapori e nuove sensazioni. Anche in questo caso noto (con piacere) affinità con il De André più folk, una sorta di omaggio al genere per eccellenza, in definitiva il punto di partenza della poesia in musica. I dieci esercizi ai quali ti riferisci rappresentano i vari passaggi sulla scala della vita, dall'infanzia fino all'ultimo gradino. In una prospettiva circolare, la fine coincide con l'inizio, una nuova fase rappresentata dai bambini, ai quali è affidato il testimone. Nel testo ho notato un passaggio molto interessante, quando chiami all'appello i "professori che vedono picche al posto dei fiori", quegli stessi "maestri" che non hanno ben chiaro quale sia il loro ruolo educativo, una missione importante, fondamentale, per la crescita dei figli, gli adulti del domani. C'è una duplice discrepanza, quella tra l'intellettualismo di "chi ha scritto i libri e non vuole atterrare" e un'educazione considerata solo ed esclusivamente come una professione e niente più. L'arte, così come l'insegnamento, deve parlare il linguaggio della semplicità e dell'onestà intellettuale. È questa la "lezione" che possiamo trarre da questa straordinaria canzone?

Grazie per la tua analisi approfondita, per la tua lettura. Grazie, ciò mi dà ulteriore forza, ulteriore stimolo per il mio lavoro. Ma non vorrei fare lezione, cercherò, piuttosto di dirti, brevemente, qualche sensazione che mi viene suggerita nel riascoltare la mia canzone, oggi. La filastrocca con il suo andamento concitato e circolare ci fa fare un rapido giro sulla giostra della vita, ce ne fa capire la brevità. Ci invita a volare, a cercare spiegazioni al di là delle cose immediate che ci circondano: è un invito al viaggio, all'osservazione, alla follia, alla preghiera come mezzo per uscire da sé. Gli esercizi, si sa, se praticati con costanza e regolarità danno buoni frutti.

Nota a parte per L'angelo ucciso, la canzone che preferisco in assoluto. Mi ha commosso. È dedicata a un grande artista che definire poeta è limitativo: Pier Paolo Pasolini. Come nel primo album, hai scelto un maestro controverso da omaggiare, da Ezra Pound siamo passati a una delle voci più rappresentative dell'Italia di quegli anni di miracoli e repentine cadute. Proprio perché controcorrente e non etichettabile, era osteggiato da una parte e dall'altra. Ma parlava la lingua della gente, insegnando la religione della gente. "Tu scrivevi mentre l'Italia moriva, tu pregavi il Cristo dei contadini, ora si sente il silenzio dei senza Dio, che pregano in banca, che pregano in chiesa". Immagini molto forti, versi che non danno possibilità alcuna di fraintendimento. Che cosa rappresenta per te Pasolini?

Pasolini è tutto ciò che non è l'Italia oggi, almeno quella che appare di più. Pasolini credeva in un'Italia religiosa e contadina, l'Italia che aveva una fede, insieme pagana e cristiana, in Dio, nell'uomo e nella terra. La sua morte ha segnato la fine del nostro umanesimo. Ho letto Pier Paolo Pasolini per decenni, ma ho scritto la canzone che gli ho dedicato in un solo giorno, in dieci ore di lavoro ininterrotto, in uno stato di estasi, di contatto con il poeta stesso, o almeno così mi è parso. Anzi, sono in qualche modo certo che Pasolini stesso mi abbia aiutato a scrivere L'Angelo ucciso…

Forse, da questa canzone, anche alla luce della precedente dedica a Pound, possiamo recuperare un messaggio importante: tra gli estremi, "tra l'ago e la cruna", "se cerchi hai fortuna". Aprendo gli occhi troppo spesso iniettati di ideologia senza costrutto, sarebbe consigliabile iniziare a guardarci intorno, capire che l'obiettivo per un miglioramento, per una vittoria della guerra civile contro (in)civiltà e degradazione dei sentimenti, è condiviso da tutti. Senza colori, senza bandiere. Solo con la speranza, con la consapevolezza di essere tutti sulla stessa barca, quella stessa immagine che richiami nell'ultima canzone, che chiude l'album in modo sereno e positivo: "La barca è sulla riva, la notte è già mattino". La notte deve diventare mattino, giusto?

Già. Come dico spesso: è Guerra Civile, amici, ma la nostra unica arma deve essere l'Amore.

Quali sono i tuoi programmi per l'immediato futuro? Le tue collaborazioni con i grandi maestri continuano?

Sono molto focalizzato su La Nave dei Folli. L'attenzione attorno a noi è crescente e io devo esserci, ogni giorno. Le mie collaborazioni, tuttavia, continuano. Sono, per me, momenti di scambio e arricchimento interiore e tecnico. In luglio uscirà il nuovo album di Mark Olson, nel quale ho suonato e curato la composizione e l'arrangiamento degli archi. Lo abbiamo registrato a Portland, Oregon, lo scorso autunno. In marzo ho registrato un live con Eric Andersen a Köln, in Germania, che uscirà nel corso dell'anno in vinile e in CD. C'è in programma altro lavoro con Eric in studio, e quest'estate riprenderò, a vari livelli, la collaborazione con Michelle Shocked. Ritrovare Michelle ha sempre un sapore particolare, abbiamo tanti ricordi comuni: pensa che ho fatto i primi concerti con lei nel 1992!

Grazie Michele, spero di vederti presto e di assistere a un approdo della nave dei folli, magari dalle mie parti. Le luci del porto sono accese…

Spero davvero di venire dalle tue parti. La Nave dei Folli è approdata in tanti porti italiani ed esteri (torniamo ora da un tour in Germania di grande soddisfazione), ma curiosamente non abbiamo mai suonato in Toscana. Se qualcuno vuole colmare la lacuna, si faccia vivo, contattandoci attraverso i nostri siti: www.michelegazich.it e www.lanavedeifolli.org

 

 


 


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