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New Orleans' unsung hero di
Nicola Gervasini (26/02/2013)
E sempre un piacere ritrovare la musica di Zachary Richard, soprattutto
se dopo il mezzo passo falso di Last Kiss del 2009 e un ictus che lo ha quasi
messo fuori gara l'anno successivo, il nostro ritrova energia e convinzione per
un nuovo buon disco. Se il precedente sforzo procedeva un po' a tentoni su una
via ripulita della musica cajun, buona per una serata a tema in un casinò di Las
Vegas, Le Fou riporta tutto a casa e ritrova i profumi e soprattutto
i cattivi odori di New Orleans e delle sue strade ancora infangate da un alluvione
da cui pare non ci si riesca ancora a riprendere. Si riparte dunque proprio da
dove finiva Lumiere dans le Noir del 2007, il suo triste lamento per la tragedia
capitata alla sua città, e si riparte con una band rinnovata, che accanto al fedele
chitarrista Eric Sauviat, vede in azione Nicholas Fiszman e Justin Allard in sezione
ritmica, il bel violino di Felix LeBlanc e soprattutto i felici innesti delle
voci femminili di Yolanda Robinson e Erica Falls e della bella cantautrice Anna
Laura Edmiston.
Sul tutto vigila il produttore Nicolas Petrowski, attento
a non uscire mai dal seminato con il suono, e benedice Sonny Landreth,
che presta la sua inconfondibile chitarra laddove serve più carattere e energia.
Il singolo che apre il disco Laisse Le Vent Souffler
è accompagnato da un bel video ed è una delle migliori prove, ma in genere la
prima parte di Le Fou sembra davvero volare ai livelli dei suoi migliori dischi
francofoni come Cap Enragè o Coeur Fidèle. C'è lo zydeco saltellante di Lolly
Lo e Sweet Sweet, la grande intensità
di ballate come la stessa Le Fou (dedicata
al primo uccello marino salvato dalla grande onda di petrolio della BP tre anni
fa) e l'epica La Chanson des Migrateurs, e
il gran bell'incontro tra cajun e blues di Clif's Zydeco.
Richard si ritrova a suo agio con ritmi e canzoni che porta nel mondo (con sempre
troppo poco successo purtroppo) da ormai più di quarant'anni, non sembra minimamente
interessato ad una ricerca musicale che lo porti su altri lidi, e questo rappresenta
insieme il suo limite così come la sua garanzia di qualità.
Il disco passa
in rassegna tutto il suo know-how, toccando lo spiritual di La
Musique des Anges, il folk di La Ballade de Jean Saint Malo
o il blues di Crevasse Crevasse. Il finale
non entusiasma quanto la prima parte, con un Bee de La Manche un po' di
maniera, una C'est Si Bon che cerca la roots-ballad
senza avere però la voce giusta e l'accoppiata Orignal Ou Caribou e Les
Ailes Des Hirondelles (questo è un brano già inciso più volte in carriera)
esagera un po' con i toni tragici, ma sono davvero piccolezze rispetto ad un insieme
che piace e convince se siete sintonizzati sulle frequenze della sua musica.