Steve Earle & The Dukes (& Duchesses)
The Low Highway
[New West
2013]

www.steveearle.com


File Under: American master

di Fabio Cerbone (15/04/2013)

Steve Earle ha superato il suo terzo decennio di carriera - era il 1986 quando Guitar Town sparigliò l'orizzonte della country music, ma il buon Steve navigava in "acque cattive", ai margini del music business, almeno dalla metà dei 70 - più vivo e ispirato che mai: attore, scrittore e songwriter che sembra ormai voler unire l'intero spettro offerto dalla sua musa, anche quando potrebbe tranquillamente vivere di rendita sul passato. The Low Highway rispolvera persino la sigla The Dukes (aggiungendoci, con un vezzo da innamorato, la dicitura The Duchesses per la moglie e musicista Allison Moorer), ambendo forse a risvegliare antiche suggestioni. In verità non si tratta di un ritorno fragoroso al rock'n'roll, come lasciava intuire il primo singolo dato in pasto allo streaming, Calico County, semmai una brillante sintesi delle diverse anime insite nel suo stile, quasi a sancire un'età della saggezza.

Dopo la parentesi più cantautorale e acustica di I'll Never Get Out of This World Alive, disco di grande densità lirica e riflessione sui temi della morte e del tempo (non a caso arrivava in simbiosi con l'omonimo romanzo, infestato dal fantasma di Hank Williams), The Low Highway è il ritorno sulla strada - sporca, polverosa, linfa necessaria per l'artista - di Steve Earle, affrontando faccia a faccia gli spettri dell'America di oggi dalla prospettiva di un musicista che attraversa la nazione e prende nota dei margini e delle tante vite alla deriva. Lo evidenzia lo stesso Earle nelle note di presentazione, lo reclamano a gran voce i versi della title track, emozionante ballata declinata in toni scuri, e nell'insieme tutto il trittico iniziale, formato con la citata Calico Country, ringhioso roots rock costruito su un ossessivo riff, e la splendida elegia country di Burnin' It Down, immagini di rabbia e rassegnazione che dirigono tutta la loro frustrazione contro lemura di un Wall Mart, simbolo dell'omologazione globale. L'incanto di The Low Highway, album denso di rimandi e per questo motivo di paziente assimilazione, è tuttavia nel suo vagabondare fra interno ed esterno, tra una scrittura impegnata e "politica" come sempre e uno sguardo più compassionevole e intimo.

Quest'ultimo esce allo scoperto nei brani che Earle ha recuperato dalla sua partecipazione a Treme, fortunata serie del canale HBO: lo speziato zydeco rock di That's All Yoiu Got?, in coppia con la voce della Moorer, lo swingante fiddle che accompagna Love's Gonna Blow My way e infine la nostalgia che attraversa After Mardi Gras. Lo squisito piatto roots che i rinnovati Dukes preparano (con l'ultimo arrivato Chris Masterson e le vecchie conoscenze Kelley Looney e Will Rigby), calca i sentieri di un'Americana di prima classe, università d'eccezione che santifica il ruolo di Steve Earle come "venerato maestro", intoccabile come spetta solamente ai padri della patria. Ma di sedersi sugli allori nemmeno l'ombra: anzi, oggi si permette anche di sperimentare e spiazzare grazie alla sbilenca Pocket Full of Rain, ennesima meditazione sugli errori di una vita, prima di tornare sugli irresistibili accenti sudisti e hillbilly delle breve Warren Hellman's Banjo e di Down the Road. La coda finale ha un guizzo rock degno del nome Dukes nell'anthem 21st Century Blues, stato dell'arte e del mondo nel 2013, anche se i riflettori sono tutti per Remember Me, lettera accorata al figlio perché scorga nel padre una spalla su cui reggersi: "remember me on a stormy night/ when ther's no sign of shelter inside".


     


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