File Under:
california dreamin' di
Gabriele Gatto (02/07/2012)
Che
Chris Robinson fosse un inguaribile 'fricchettone' è un dato di fatto che
ormai dovrebbe essere risaputo. Che fosse però così fricchettone ed anacronistico
forse non se lo aspettava nessuno. Così, chiusa (temporaneamente, speriamo tutti)
l'avventura dei Black Crowes, il frontman della Georgia si lancia anima e cuore
in questa nuova avventura solista, realizzando il terzo disco della carriera lontano
dal fratello Rich. Forse, però, non dovremmo neppure definirlo come un disco solista.
Già dai due album del 2003 e del 2004 (l'altalenante New Earth mud e l'esaltante
This
Magnificent Distance) Robinson si era circondato di una vera e
propria band, ribattezzata New Earth Mud, e non solamente da un gruppo di turnisti
scelti per l'evenienza. Allo stesso modo, per questo terzo episodio, Chris ha
radunato intorno a sé un collettivo attorno al quale ha costruito le atmosfere
di Big Moon Ritual, reclutando il cantautore e valente chitarrista
Neal Casal (peraltro autore di uno dei più grandi dischi di cantautorato
americano anni '90, quel Fade Away Diamond Times che ogni persona dotata di orecchie
funzionanti e di un minimo di cuore dovrebbe possedere), il bassista Mark Dutton,
lo stupendo batterista blues George Sluppick (già con JJ Grey & Mofro) e dulcis
in fundo uno dei protagonisti dell'epopea Crowesiana, il tastierista Adam McDougall,
che risulta uno degli elementi più caratterizzanti del suono di questa nuova band.
Se con il citato This Magnificent Distance Chris Robinson aveva inteso
dare sfogo alla sua indole più cantautorale e diretta, oggi fate attenzione: qui
siamo agli esatti antipodi. Basterebbe vedere la tracklist: sette canzoni per
oltre sessanta minuti di musica, e neppure un brano sotto i sette minuti. E, soprattutto,
durante le sessions di registrazione, Chris e soci dovevano avere affissa in studio
la fotografia di Jerry Garcia e dei Grateful Dead, il vero afflato ispiratore
di questo disco, che aleggia su tutte le canzoni e che promana fin già dalla copertina,
misteriosa e quasi mistica. Sono le atmosfere liquide tipiche della California
più psichedelica degli anni Sessanta a farla da padrone, con la chitarra di Neal
Casal, non un fulmine di guerra ma di certo un musicista di gran gusto, e le tastiere
completamente anacronistiche di MacDougall a dettare i tempi (sentire l'introduzione
di Reflections in a Broken Mirror per credere…suoni
che sembrano uscire da The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd) in un percorso
sonoro che abbraccia le divagazioni rootsy degli ultimi due album dei Black Crowes
dilatandole a dismisura e liquefacendole in un torrenziali cascate chitarristiche
à la Garcia (vedere Rosalee e l'apertura di
Tulsa Yesterday).
E poi c'è la voce
di Robinson, probabilmente uno dei più grandi interpreti della storia del rock'n'roll
a fare la differenza: seppure priva della dirompente carica soul che caratterizzava
sia le sue interpretazioni con i Black Crowes sia quelle dei primi due album solisti,
riesce a caratterizzare con passaggi languidi ed improvvisi sussulti le canzoni
del disco. Clou della sua interpretazione è senza dubbio Beware
or Take Care, tutta sospesa fra atmosfere lunari ed improvvisi cambi
di passo. Insomma, un disco del tutto inaspettato ed affascinante, magari non
privo di difetti (un secondo chitarrista al posto di Chris, che suona la ritmica
in tutti i brani, avrebbe di certo giovato) ma sincero specchio di uno spirito
hippy che ha pochi equivalenti al giorno d'oggi. E si spera che qualche anima
pia porti la barbuta Chris Robinson Brotherhood in Italia, perché non vi
è dubbio che quella dal vivo sia la cornice ideale per godersi brani come questi.