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songwriting, folk rock di
Gianuario Rivelli (09/01/2012)
Ogni
uscita discografica di Neal Casal è un appuntamento con un vecchio amico
a cui sei particolarmente affezionato, a cui pensi sempre con affetto e gratitudine
perché la gentilezza del suo tocco e le sue melodie avvolgenti sono stati sin
dall’inizio un colpo di fulmine per te, ragazzino che ti aggiravi ancora imberbe
tra suoni americani. A uno così, spirito fiero da outsider non di facciata, non
puoi non voler bene anche se dopo l’esordio abbacinante di Fade Away Diamond Time
- uno di quei dischi che ti fanno pensare che il Santo Graal esiste e lo puoi
anche trovare - non sempre (eufemismo) ha mantenuto le aspettative, ammesso che
questo termine possa attagliarsi a uno che è sempre andato per conto suo, alternando
la carriera solista ai percorsi paralleli con Hazy Malaze e Cardinals, (sua è
la chitarra solista di quella che è stata molto più di una backing band per Ryan
Adams). Con questa premessa è difficile avvicinarsi con atteggiamento del tutto
neutrale a Sweeten the Distance, decima prova solista del songwriter
del New Jersey, tanto più che il disco prende le mosse in modo confortante dopo
lo shock causato da una copertina francamente impresentabile, a metà tra suggestioni
arcane ed un’ecografia.
Infatti, i primi brani, pur senza far strappare
i capelli, riescono a rigenerare l’antica pozione fatta di nostalgia impastata
con organo e slide, sensibilità westcoastiana, aria sognante e sbarazzina. La
title track è un classico folk old style con l’organo ben in vista, malinconico
e rasserenante; il delicato arpeggio, la slide ciondolante e il ritornello quasi
da marcetta di Bird with No Name ci riavvicinano
alle antiche intuizioni e il country personale di Need
Shelter è un gioiellino di grazia per cui Casal dovrebbe depositare
il marchio registrato. Quando poi con Let it All Begin
il nostro prende anche a rockeggiare con una ballata ariosa a più strati che centra
il bersaglio, pare proprio di essere avviati verso uno dei dischi di Casal che
meno si allontana dal glorioso capostipite. Purtroppo è una pia illusione perché
da questo momento in poi Sweeten the Distance è come un motore che perde inesorabilmente
colpi strada facendo e la produzione fin troppo rispettosa di Thom Monahan non
riesce proprio a far staccare da terra queste canzoni.
White
Fence Round House è un country soul con robuste dosi di steel guitar
che vorrebbe alzare la temperatura emotiva ma finisce per annoiare, So
Many Enemies un mid-tempo che avrebbe tutte le carte in regola per
diventare una hit di Casal, ma è penalizzata inesorabilmente da un ritornello
anonimo, How Quiet I Got è un pasticciato
e scombicchierato cimento rock con tanto di wall of sound,
The Gyrls of Wynter è sì California, ma California sbiadita, segno
tangibile di un’ispirazione sempre viva ma ormai raramente capace del cambio di
marcia che fa la differenza. Vivaddio che un’ulteriore zampata c’è ed è di quelle
del purosangue: Time & Trouble, il pezzo migliore
del disco, ballata con echi stonesiani, un morbido tappeto di distorsioni, chitarre
e voce slegate e lanciate verso la magia di un tempo. Quel tempo che questo vecchio
amico ti fa sempre tornare in mente, anche se adesso lo trovi un po’ invecchiato
e non tutto quello che ti racconta ti avvince come una volta. E a volte ti fa
anche sbadigliare, ma quando gli brillano gli occhi e riesce a lanciare bagliori
dell’antico fuoco, il tuo cuore non ci metterà molto a scaldarsi.