Avvistati nel 2020, all’altezza
del loro secondo capitolo discografico da indipendenti, A
New Kind of Sky, il quintetto londinese degli Hanging Stars
sembrava pronto a sobbarcarsi il peso di ambasciatori in terra anglossassone
del “settantesco” suono country rock, pescando a piene mani dalla stagione
californiana che fu di Byrds e Flying Burrito Brothers, costanti punti
di riferimento stilitico per le loro canzoni con lo sguardo rivolto al
passato. L’approdo in casa Loose, il successivo e più rifinito Hollow
Heart e adesso la pubblicazione del naturale seguito di quest’ultimo,
On a Golden Shore, chiariscono nei dettagli i piani del
gruppo, quanto meno confermando l’intenzione di ampliare quel percorso.
Come dire: The Hanging Stars restano avvinghiati alle delize di fine sixties,
ma sembrano volersi appropriare di tutti gli stimoli di quell’epoca, attingendo
alla psichedelia che si illumina anche di chiarori pop (il finale sognante
con Heart in a Box, la stessa Golden Shore) e brezze folk
(Raindrop in a Hurricane), a volte aggiungendo alla loro pozione
magica una tensione rock evidente, e persino qualche eccentrica deviazione
(per esempio una Silver Rings che si permette di giocare con i
ritmi latini e una figura accennata al pianoforte manco fossimo in un
disco di Joe Jackson). Difficilmente si scrolleranno di dosso l’accusa
di “retromaniaci”, ma quanto meno il loro non resterà soltanto
un gesto di semplice imitazione dei cugini americani, sebbene in più di
un occasione anche On a Golden Shore accompagnerà l’ascoltatore
lungo quel filo rosso che unisce diverse generazioni di sognatori, dai
Big Star ai Beachwood Sparks.
Lo annuncia il primo brano Let Me Dream of You,
chitarre robuste e scintillanti nelle mani di Richard Olson (anche voce
solista) e Patrick Ralla e l’inconfondibile pedal steel di Joe Harvey-Whyte
a spruzzare effluvi di californiana memoria. Sweet
Light ne accentua le potenzialità pop, così come le intenderebbero
altri adepti di questa scuola, i Teenage Fanclub: non sarà un caso allora
che gli stessi Hanging Stars siano ancora una volta volati in Scozia per
registrare il nuovo album, sempre rintanati al Clashnarrow Studio di Edwyn
Collins (Orange Juice). Con il terzo episodio in scaletta, e primo singolo
scelto per annunciare l’uscita, si torna alla casa madre, cercando un
po’ di quel respiro che fu della baia di San Francisco e arrivò a soffiare
nel Laurel Canyon intorno alle colline di Los Angeles. L’afflato del “country
cosmico” entra così dalla finestra e inebria le melodie di Disbelieving
e Washing Line, mentre la giostra psichedelica della band riprende
a girare con I Need a Good Day, alternandosi
alle gioie bucoliche di No Way to Spell, dove appare anche un banjo.
Il plauso maggiore che si può fare alla band e all’intera registrazione
di On a Golden Shore è la crescente identità sonora che trasmettono:
sulle passioni degli Hanging Stars non nutrivamo il minimo dubbio, nonostante
manchi sempre quella rivelazione o quell’episodio davvero personale per
renderli qualcosa di più di una entusiasta congrega di discepoli.