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The Hanging Stars
On a Golden Shore
[Loose music/ Goodfellas 2024]

Sulla rete: thehangingstars.com

File Under: cosmic country


di Fabio Cerbone (11/03/2024)

Avvistati nel 2020, all’altezza del loro secondo capitolo discografico da indipendenti, A New Kind of Sky, il quintetto londinese degli Hanging Stars sembrava pronto a sobbarcarsi il peso di ambasciatori in terra anglossassone del “settantesco” suono country rock, pescando a piene mani dalla stagione californiana che fu di Byrds e Flying Burrito Brothers, costanti punti di riferimento stilitico per le loro canzoni con lo sguardo rivolto al passato. L’approdo in casa Loose, il successivo e più rifinito Hollow Heart e adesso la pubblicazione del naturale seguito di quest’ultimo, On a Golden Shore, chiariscono nei dettagli i piani del gruppo, quanto meno confermando l’intenzione di ampliare quel percorso.

Come dire: The Hanging Stars restano avvinghiati alle delize di fine sixties, ma sembrano volersi appropriare di tutti gli stimoli di quell’epoca, attingendo alla psichedelia che si illumina anche di chiarori pop (il finale sognante con Heart in a Box, la stessa Golden Shore) e brezze folk (Raindrop in a Hurricane), a volte aggiungendo alla loro pozione magica una tensione rock evidente, e persino qualche eccentrica deviazione (per esempio una Silver Rings che si permette di giocare con i ritmi latini e una figura accennata al pianoforte manco fossimo in un disco di Joe Jackson). Difficilmente si scrolleranno di dosso l’accusa di “retromaniaci”, ma quanto meno il loro non resterà soltanto un gesto di semplice imitazione dei cugini americani, sebbene in più di un occasione anche On a Golden Shore accompagnerà l’ascoltatore lungo quel filo rosso che unisce diverse generazioni di sognatori, dai Big Star ai Beachwood Sparks.

Lo annuncia il primo brano Let Me Dream of You, chitarre robuste e scintillanti nelle mani di Richard Olson (anche voce solista) e Patrick Ralla e l’inconfondibile pedal steel di Joe Harvey-Whyte a spruzzare effluvi di californiana memoria. Sweet Light ne accentua le potenzialità pop, così come le intenderebbero altri adepti di questa scuola, i Teenage Fanclub: non sarà un caso allora che gli stessi Hanging Stars siano ancora una volta volati in Scozia per registrare il nuovo album, sempre rintanati al Clashnarrow Studio di Edwyn Collins (Orange Juice). Con il terzo episodio in scaletta, e primo singolo scelto per annunciare l’uscita, si torna alla casa madre, cercando un po’ di quel respiro che fu della baia di San Francisco e arrivò a soffiare nel Laurel Canyon intorno alle colline di Los Angeles. L’afflato del “country cosmico” entra così dalla finestra e inebria le melodie di Disbelieving e Washing Line, mentre la giostra psichedelica della band riprende a girare con I Need a Good Day, alternandosi alle gioie bucoliche di No Way to Spell, dove appare anche un banjo.

Il plauso maggiore che si può fare alla band e all’intera registrazione di On a Golden Shore è la crescente identità sonora che trasmettono: sulle passioni degli Hanging Stars non nutrivamo il minimo dubbio, nonostante manchi sempre quella rivelazione o quell’episodio davvero personale per renderli qualcosa di più di una entusiasta congrega di discepoli.


    



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