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Lee Bains + The Glory Fires
Old-Time Folks
[Don Giovanni 2022]

Sulla rete: thegloryfires.com

File Under: southern rebels


di Fabio Cerbone (01/09/2022)

Le potenzialità erano già tutte racchiuse nell’esordio del 2012, There Is a Bomb in Gilead, il disco che svelava il southern punk rock dalla coscienza socio-politica di Lee Bains e dei suoi Glory Fires, da Birmingham, Alabama. Mancava soltanto la convinzione dei propri mezzi espressivi, la capacità di allargare la vista e di osare anche negli arrangiamenti, senza chiudersi in un ghetto di rabbia elettrica e carica eversiva che aveva forse “macchiato” e reso meno fruibili (ma a sprazzi irresistibili, va detto) le opere seguenti, i pur interessanti Dereconstructed (il più chiassoso e ribelle) e Youth Detention (quello che mediava fra passato e presente della band).

Introdotto dall’invocazione e chiuso dall’epilogo della stessa canzone, l’omonima Old-Time Folks servita in due versioni speculari fra elettrico e acustico, il quarto album di studio della formazione, prodotto ad Athens con l’intervento provvidenziale di David Barbe, li colloca sulla scia nobile delle nuove voci rock del Sud, seguendo le piste già battute da Drive-By Truckers (inevitabile l’aggancio, vista la presenza dello stesso Barbe e la partecipazione di Jay Gonzalez alle tastiere e organo) e Lucero. Il trio dell’Alabama (oltre al leader Lee Bains, i fratelli Adam e Blake Williamson, rispettivamente al basso e alla batteria) si inscrive di diritto in quel mondo di rock’n’roll band che racconta l’altra faccia del sogno americano mai realizzato, partendo dal basso, dalla gente comune, da un afflato popolare e antagonista che raccoglie le storie della “ordinary people” incontrata nel loro incessante viaggio musicale sulla strada.

Bains assume su di sé dunque il ruolo di un narratore del presente, filtrando queste canzoni attraverso la sua vicenda personale, il suo essere cresciuto in una terra di continue contraddizioni, come evidenza il primo singolo scelto, la poderosa cavalcata southern rock di The Battle of Atlanta, riferimento storico alla battaglia della Guerra Civile condotta dal generale unionista Sherman che ha cementato nel tempo quel sentimento di rivalsa e orgoglio “sudista”. Bains e compagni ovviamente ribaltano completamente la prospettiva, cercando nuovi significati ed evidenziando in tutto il disco la loro visione in aperto conflitto con i nuovi venti populisti dell’era Trump, ma più in generale con un’America che vista dal centro del potere di Washington, qualunque esso sia, appare lontana dalle rivendicazioni degli esclusi, delle minoranze, dei lavoratori più umili.

Da qui arrivano le invocazioni di (In Remembrance of) The 40 Hour Week, fiero rock’n’roll dagli orizzonti operai, mondo che Lee Bains stesso conosce benissimo, visto la sua occupazione quotidiana nel campo dell’edilizia, le richieste comunitarie di una appassionata, innodica Rednecks, o ancora la trascinante saga soul rock, con sezione fiati a ingrossare le fila, di Outlaws e la limacciosa e strisciante scenografia di Done Playing Dead. È esattamente l’atmosfera più bilanciata e la cura dei dettagli in studio di registrazione a rendere Old-Time Folks un disco efficace, classico e tra le migliori opere uscite di recente dal Deep South. Una sintesi di passato e presente del rock indipendente di quelle latitudini che sposa la sensibilità sociale dei citati Drive By Truckers in God’s a Workin' Man, Lizard People e Post-Life con una carica punk mai doma, che cova sotto le ceneri e di tanto in tanto scalcia per risalire in superficie (l’esplosione di Caligula, con tutti i nomi spiattellati senza paura), salvo trovare un angolo di riflessione che è proprio la testimonianza di quella maturità d’autore acquisita da Lee Bains con i suoi Glory Fires: dalla inaspettata delicatezza pianistica di Gentlemen al fragile raccolgimento folk di Old Friends.

Sferzante, senza peli sulla lingua, Old-Time Folks richiama i suoi ascoltatori a quell’unione e speranza che fanno la forza di una comunità: un messaggio che cadrà nel vuoto forse, lontano dalle attenzioni del grande pubblico, ma è ancora una volta un atto di resistenza che appartiene solamente al rock’n’roll più vitale.


    



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