Colter Wall
Western Swing & Waltzes and Other Punchy Songs

[La Honda Records/ Goodfellas 2020]

Sulla rete: colterwall.com

File Under: cowboy songs for a better world


di Luca Volpe (01/09/2020)

Western Swings & Waltzes and Other Punchy Songs: la risposta serena è spesso una risposta beffarda. Ma qual'è la domanda? Nessuna. Colter Wall s'è preso la briga di dire la sua verità, tradizionale e insieme originale, oggi, in cui pare chiunque s'aggiunga con vocio urlato alle menzogne di poteri forti (tali in quanto senza controparti). D'altronde, la platea pachidermica dei mezzi di comunicazione digitali, di cui in piccolo anche RootsHighway fa parte, ha portato poco di buono. Certo, redazione e lettori formano una comunità che, con tono garbato, cerca di fare il possibile per non trasformarci nel peggio dilagante. Ma basta? Serve? Abbiamo di fronte, intorno, sopra, sotto, dentro, il germe mostruoso d'una degenerazione organica indotta, che consta della distruzione del bambino con la famosa acqua, anzi, del suo annegamento in quell'acqua: distruzione di un'intera storia, il meglio dell’arte del 900.

Coincidenze (mai tali) della storia, quando è finito il mondo a blocchi, dal 1990 è partita una reazione per ricondurre all'ordine. E allora si spiegano i tronfi panegirici di chi s'arrampica sugli specchi per esaltare musiche senza musica, personaggi drogati di visibilità (e non solo) che propagandano vuoto pneumatico e “ideali di vita”, ma senza il fascino scapigliato di Gram Parsons, Jimi Hendrix, Keith Moon, Robbin Crosby... E della loro foga di lasciare un segno sul mondo. In quelle arrampicate sugli specchi i giovani ci son cascati senza battere ciglio, dubbi o un'esitazione; gli adulti non han voglia di contrastare questa discesa negli inferi della musica, che sembra condannata a diventare un pattume mostruoso tal che, fra qualche anno, G.G. Allin apparirà pacato come Kant e la Trap ricordata con nostalgia.

Ma è tutto così? Qualche classifica fa (nei nostri speciali di fine anno, ndd) su RootsHighway venne fatta un'analisi (la musica popolare ha fatto il giro e si ricomincia dagli inizi), e ciò viene traslato in musica superba da Colter Wall. Ecco la risposta a una domanda non fatta da una società che ha dimenticato la dialettica: un cowboy di mestiere si butta nella produzione, aiutato nel master da Eric Cohn (lavori con Kentucky Headhunters e Pegi Young) e sornione fino al limite dell'ironia, confeziona un capolavoro che mostra un uomo genuino, che racconta storie vere o verosimili in uno stile che declama anti-modernità salutare e coerente. Il miracolo della voce di Colter continua a stupire: acquisisce maturità senza sembrare decrepito, come se Johnny Cash spuntasse dietro il microfono depurato da ogni droga e dal male di vivere e avesse dato lezioni preziose al nostro, affinchè potesse sviluppare il suo stile. Il disco? Ballate, confessioni, contemplazioni, un gruppo d'accompagnatori diretto con maestria incredibile per un venticinquenne che pare uscito da una sacca temporale che abbraccia elementi di ruralismo Nordamericano di ogni stile possibile, senza dispersioni di senso o contenuto.

L'insieme è coeso e funziona, ma se si va di cercare degli apici in questi suoni caldi e magistralmente definiti, la classicità incalzante di Big Iron (Marty Robbins), la ballata calda e intimamente commossa di Henry and Sam, il quasi bluegrass di Rocky Mountain Rangers, l'atmosfera tenue di Houlihans at the Holiday Inn, la confessione lavorativa di Talkin' Prairie Boy, la cadenza distesa dell'omonima, sono alcuni dei brani che svettano su un insieme uniforme. Il lavoro immenso della chitarra acustica, che luccica come una seconda voce e soffusi accenni di basso e batteria (una svolta elettrica nel futuro?), regalano il primo Wall allegro, nonostante tutto e tutti. In your face, direbbe Lenny Wolf.


    


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