Orfano delle canzoni di
Tom Petty, e con gli Heartbreakers ormai lontani dai palchi, Mike Campbell
inganna il tempo inventandosi una nuova rock’n’roll band: la migliore
medicina per curare la mancanza di un vecchio amico, non trovate? In verità,
tanto nuovo non è il progetto The Dirty Knobs, gruppo da “dopo
lavoro” che il chitarrista si trascina dietro da una ventina d’anni, nei
ritagli di tempo, spesso suonando nel circuito dei club californiani.
Quartetto a geometria variabile, che nel tempo si è stabilizzato con l’ingresso
di Jason Sinay (chitarre) e Matt Laug (batteria), entrambi dai Five Easy
Pieces (meteora del roots rock anni Novanta con un bel disco omonimo per
la MCA e nulla più), oltre al basso di Lance Morrison, The Dirty Knobs
sono la valvola di sfogo per le intemperanze elettriche di Campbell, a
buon diritto uno dei migliori (il migliore? Ci sono buone probabilità)
solisti che il mainstream rock americano abbia mai conosciuto.
Le canzoni le metteva Tom, mentre Mike aggiungeva quella chitarra, in
una simbiosi compositiva che ha fatto la fortuna degli Heartbreakers (oltre
naturalmente al piano di Benmont Tench, nessuno lo dimentichi), sorta
di anime gemelle i due, dal cui cilindro uscivano classici a ripetizione.
Mancando uno degli ingredienti, ovvero sia le suddette canzoni, Wreckless
Abandon, esordio della band, deve puntare tutto sull’altro: dunque
classic rock dai forti sapori bluesy e sudisti (Sugar, Southern
Boy), altre volte dalle pulsioni hard e psichedeliche (I Still
Love You, Don’t Wait), in parte sulla linea di album come Mojo
e Hypnotic Eye, dagli ultimi Heartbreakers, con un gran sfrigolare
di amplificatori e valvole, un drive serrato e la produzione di una vecchia
volpe come George Drakoulias (ricordate i risultati con i Black Crowes?)
a cementare il suono granitico.
L’esito è un divertissment rock’n’roll che si lascia ascoltare con affetto,
tanto più che Campbell lo ha voluto e completato con sacrificio, dopo
avere affrontato problemi di salute abbastanza seri, che lo hanno costretto
a rinviarne l’uscita. La partenza promette fuoco e fiamme con la title
track, sfoderando un jingle jangle mascherato da rock stradaiolo che non
può non suonare Heartbreakers nel cuore e nell’anima, mentre in Pistol
Packin’ Mama (con la partecipazione di Chris Stapleton) il
motore fa il rodagio sulle strade del vecchio sud, anche se l’episodio
migliore è proprio una ballata, quando le chitarre cedono il passo alla
melodia in Irish Girl. E pazienza
se strada facendo la tenuta delle composizioni si sfilaccia non poco,
mettendo di mezzo ripempitivi (quel baloccarsi con lo spirito di John
Lee Hoooker in Don’t Knock the Boogie, il mimare JJ Cale con la
“dedica” ironica anti-covid di Fuck that Guy, il tuonare hard blues
di Loaded Gun, come gli ZZ Top più chiassosi) che sembrano piuttosto
pensati per una jam dal vivo, quando si potrà tornare a sudare sotto a
un palco.
Da Mike Campbell – che peraltro sfodera una voce non miracolosa, eppure
qualche volta dalle inflessioni incredibilmente imparentate con quelle
dell’amico scomparso Tom – non era lecito aspettarsi che questo desidero
di abbandono al rock’n’roll.