Black Pumas
Black Pumas
[ATO
2019]

theblackpumas.com

File Under: soul brothers

di Fabio Cerbone (01/08/2019)

La ricetta appare semplice, gli ingredienti sempre gli stessi, ma occorre un sapiente dosaggio per ottenere il risultato migliore. Black Pumas è un debutto spavaldo che strizza l'occhio a cinquant’anni di musica nera tenendone in considerazione passato e presente: riesce così, in un gioco di equilibri, a sembrare contemporaneo e vintage al tempo stesso, inserendosi in quel filone ormai sfruttato del revival soul degli anni Duemila e oltre con una personalità più matura e smaliziata rispetto alla media dei concorrenti.

Se ne sono accorti anche ad Austin, dove il duo artistico formato dal cantante, chitarrista e autore Eric Burton con il produttore e musicista Adrian Quesada (Grupo Fantasma, Brownout, Look At My Soul tra i progetti curati) ha sbancato sulla scena locale, prima diventando un’attrattiva fissa delle serate al club C-Boys, quindi conquistando stampa e pubblico al famoso festival SXSW, da cui è partita l’avventura dell’esordio omonimo, anticipato dal singolo Black Moon Rising. È proprio il groove un po’ funk e un po’ soul di scuola Motown che caratterizza quel brano ad aprire le danze dell’album, una collaborazione nata dopo un veloce provino che Quesada pare abbia tenuto al telefono, convinto dalla voce di Burton, ventisettenne cresciuto fra canti gospel in chiesa, teatro e scuola di strada. La mano astuta del produttore si sente eccome: lavorando ad una serie di spunti strumentali che mettessero insieme r&b urbano e psichedelico, soul d’annata e qualche accento rock dal taglio sixties, Quesada ha scovato l’inteprete perfetto, aggiungendovi una leggera verniciatura di ritmi moderni, senza per questo abbandonare il senso della lunga traversata della black music fino ad oggi.

Da qui spuntano la drammaticità di Colors, intro acustica e crescendo soul gospel che aggiorna lo stile del maestro Bill Withers, mentre il battito di Know You Better tiene a mente l’attualità del suono r&b ma non spezza le catene della tradizione. Se un appunto va mosso al progetto Black Pumas sono forse i testi un po’ generici e dal vago tono universalista di Eric Burton, ma arrangiamenti, voci, musicisti al seguito ricamano con tale irresistibile astuzia che tutto il resto finisce in secondo piano. Certi accorgimenti di ritmo e chitarre, per esempio nell’incalzante beat di Fire o in quello furbesco di Old Man sembrano far emergere anche un’affinità con il Dan Auerbach ricercatore di gingilli anni Sessanta e certo con i suoi Black Keys in adorazione soul (anche la scia psichedelica della chitarra in Confines e il groviglio con il tema dei fiati in Touch the Sky).

Il modo in cui archi e sezione fiati rivestono di velluto la maggior parte dei brani è legittimo patrimonio della grande stagione di Curtis Mayfield, della citata ditta delle meraviglie Motown e di quella sensibilità che conduceva l’anima della "sweet soul music" dritta nel tumulto dei Settanta: impeccabile in tal senso l’accoppiata di OCT 33 e Stay Gold, mentrre nel finale Sweet Conversations dilata le chitarre e gli spazi della melodia in un sinuoso andamento da ballata psichedelica.

Black Pumas batte vecchie strade per trovarne di nuove, non scioglie il nodo che lo tiene legato alla memoria della black music, ma infiocchetta il tutto con nuova linfa e buone idee sonore: quel tenersi sul filo senza mai cadere sembra essere la sua migliore conquista.


    


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