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roots pop rocker di
Fabio Cerbone (02/05/2018)
Giovane
promessa della scena roots dell'Oklahoma, cresciuto nel clima religioso familiare
della Chiesa Pentecostale, diviso fra eterno conflitto di peccato e redenzione,
come ogni buon figlio del profondo sud ha sperimentato, Parker Millsap
era e resta una delle voci più trascinanti dell'attuale scena Americana. La sua
stirpe è la stessa dei Jason Isbell e Sturgill Simpson, insomma, di quella generazione
che sta riscrivendo le regole della tradizione tra fedeltà e sguardo sul futuro,
che nel caso di Millsap significa evidenziare le sue radici country gospel, l'accento
rurale del blues e quella commistione che uscì da Memphis sulle ali del rock'n'roll,
il tutto immerso nelle visioni gotiche e tormentate di un ragazzo che come il
buon vecchio Jerry Lee Lewis e altri prima di loro ha dovuto combattere le tentazioni
del diavolo.
Così quanto meno facevano intuire i due precedenti lavori,
l'omonimo esordio su scala nazionale e il più che accattivante The
Very Last Day, accoppiata che non lasciava dubbi sul suo talento e
soprattutto su quella voce fuori del comune, faccia d'angelo che nascondeva una
impetuosità da predicatore. Other Arrangements sarà immediatamente
etichettato come il disco della presunta rottura, e a voi scegliere da che parte
accoglierlo, ma giunti al termine della sua svelta e a tratti furibonda corsa,
resta l'impressione di una riuscitissima svolta rock in alcuni suoi scorci, elettrica
e brillante, che mette insieme roots rock stradaiolo e ghiottonerie power pop,
senza rinnegare affatto le fondamenta della terra dell'Oklahoma. Meno scuro e
serioso dei suoi predecessori, dall'attacco killer del riff chitarristico di Fire
Line si intuisce la direzione più disinvolta e "pop" che intendeva
far emergere Millsap, senza svendere nulla delle sue qualità di scrittura, mantenendo
in squadra il carattristico violino di Daniel Foulks e serrando le fila della
sezione ritmica composta dai vecchi compagni Michael Rose e Paddy Ryan.
L'effetto
è accogliente e fa da ponte con il passato nell'atmosfera southern gospel della
ballata Your Water, dove cominciano ad affacciarsi
le voci dei Settles Connection, presenza che ritornerà più volte nel corso dell'album.
Singing to Me torna all'acustico con una dolce melodia che serpeggia fra
violino e chitarre bluesy, ma sono le esplosioni e gli stacchi della stessa Other
Arrangements, roots rock da grandi spazi e con un afllato soul fra
le righe e l'esuberanza pop rock di Let a Little Light
In e Gotta Get To You a dettare la nuova linea all'orizzonte,
con un Parker Millsap in spolvero vocale (e chitarristico), la giusta rabbia in
corpo e una specie di trasfigurazione in un Elvis Costello delle grandi praterie
americane (sentite per credere il nervoso pub rock di Some People). Con
la stessa fantasia sgiuscia fra gli arrangiamenti (come da titolo, senza tema
di smetite), stili e azzeccate melodie, passando in rassegna tensione soul blues
in una suadente Tell Me, luminose albe gospel
rock in Coming On, sofisticate melodie jazzate in She e una pura
brezza pop pianistica nel finale di Come Back When You
Can't Stay, scritta e cantata in coppia con la collega Jilette Johnson.
Un disco che mantiene un equilibrio fra spontaneità e voglia di rompere
qualche barriera, a tratti fisico e magnetico nell'intepretazione, oltre ad offrire
una ventata rock al movimento Americana che di questi tempi non guasta affatto.