Little Steven
Soulfire
[Wicked Cool/ Universal 2017
]

littlesteven.com

File Under: Asbury sound revival

di Fabio Cerbone (22/05/2017)

Figura picaresca, tra gli ultimi eroi romantici di quel rock'n'roll che vive di passione e sente un forte legame con la tradizione nera del rhythm'n'blues, in queste stagioni Little Steven è stato impegnato in ruoli lontani dal gesto strettamente discografico. Conduttore radiofonico, talent scout, e naturalmente attore (ormai riconoscibilissima la sua fugura di Silvio Dante nella serie Sopranos), anche la sua presenza nella E-Street Band è sembrata più volte una specie di mascotte, un portafortuna indispensabile per sancire il legame con la storia del gruppo e le sue origini nel New Jersey. Soulfire è in qualche modo un ritorno sulle scene che guarda con nostalgia a quella lontana epoca, una raccolta di vecchi successi, canzoni dimenticate e qualche cover selezionata ad arte che ripercorre la carriera di Steven Van Zandt in qualità di autore per amici e spiriti affini.

Giungendo a quasi vent'anni dall'ultima testimonianza di studio, quel Born Again Savage che sfoderava uno spirito più roccioso e garage rock nelle sonorità, è facile festeggiarne con entusiasmo la presenza, che restituisce una voce, una chitarra e un musicista dal carattere generoso. Ma la sorpresa è tutto sommato constatare che, seppure avvolto in un'atmosfera di ricordi, Soulfire è un disco che trasuda energia e partecipazione, un treno in corsa che utilizzando gli elementi più familiari della ricetta di casa Little Steven e dei suoi inseparabili Disciples of Soul, offre una bollente miscela di rock'n'soul (la rilettura di Saint Valentine's Day e il finale di Ride the Night Away) così poco frequentata al giorno d'oggi da suonare fresca e credibile. L'idea nasce da un viaggio a Londra, da una reunion con i citati Disciples of Soul sul palco del BluesFest e dall'idea di riprendere i fili della collaborazione con gente come Stan Harrison e Eddie Manion degli Asbury Jukes.

Il sound di Soulfire e della stessa title track, che apre le danze mostrando la luce alla banda, è proprio quello dei primi leggendari dischi di Southside Johnny, prodotti dallo stesso Little Steven, o delle collaborazioni con Gary Us Bonds negli anni ottanta. Lo certifica il materiale scelto ad hoc, tra cui spicca subito I'm Coming Back, brano scritto per l'amico John Lyon e presente nel suo "Better Days" del 1991, o ancora le classiche I Don't Want To Go Home, Some Things Just Don't Change e Love on the Wrong Side of Town, quest'ultima firmata insieme a Bruce Springsteen, materiale che infiammava il r&b rovente degli Asbury Jukes agli esordi e scriveva un tempo il vocabolario essenziale del cosiddetto Jersey sound. Little Steven si diverte, canta con convinzione e guida i suoi "Discepoli" incrociando chitarre scalpitanti e panciute sezioni fiati, pura nostalgia doo wop (The City Weeps Tonight, con la presenza dei Persuasions) e qualche tributo nemmeno troppo celato alle produzioni di Phil Spector.

C'è persino il tempo di mettersi in gioco attraverso alcune cover: accade in The Blues Is My Business, rock blues un po' canonico ma di impatto che fu nel repertorio di Etta james, e assai meglio in Down and Out in New York City, rivisitazione del soul a trazione funk di James Brown, degna di una colonna sonora da Blaxploitation anni settanta. Soulfire è un disco costruito con mestiere e sentimento, e non fa che parlare di Little Steven in prima persona, del musicista e dell'uomo, del suo modo onesto di intendere il sacro fuoco del rock'n'roll.


    


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