Immutabile
come una sfinge che emerge dalle paludi sudiste, la musica di Tony Joe White
è un monolite di umori swamp e acquitrini blues, che al diciannovesimo album
in carriera non ha più nulla da dimostrare, solo perpetrare una formula unica,
riconoscibilissima, fuori del tempo. White abita quella terra di lupi solitari
che nel rock'n'roll hanno messo la firma su un sound personale e non lo hanno
più mollato: come JJ Cale, come John Lee Hooker, o come il discepolo di quest'ultimo
George Thorogood, anche lo stile di Tony Joe White è in apparenza a una dimensione,
aggrappato a un paio di idee ripetute all'infinito, una formula che ne ha decretato
lo stato di figura di culto.
Rain Crow rappresenta la coda
di una trilogia partita qualche anno fa con The Shine e passata attraverso l'esordio
in casa Yep Roc con il precedente Hoodoo,
che sembra avere riportato tutto all'essenza di un tempo, dopo un periodo di appannamento
artistico. Chitarra, basso e batteria, con la sezione ritmica formata da Steve
Forrest e Bryan Owings, ritmi aguzzi e scheletrici, zero orpelli, queste nove
canzoni inedite, in parte firmate con la moglie Leanne e prodotte insieme al figlio
Jody, sono la quintessenza dell'uomo Tony Joe White, anche dal punto di vista
del songwriting, mai così scuro nelle tematiche. Questo implica naturalmente una
musica inchiodata al rantolio swamp blues e alle tinte funkeggianti che hanno
fatto la fortuna di quest'uomo: prendere o lasciare, Rain Crow non toglie e non
agiunge nulla a quanto seminato in quaranta e passa anni di onorata carriera.
È il suo limite e il suo fascino al tempo stesso, con una voce che nel
mentre si è trasformata ancora più in un mormorio, un mugugnare limaccioso che
canta di un vento cattivo (The Bad Wind),
puro gotico sudista, e di Rain Crow, elementi della natura che sono il
riflesso della wilderness americana, prima di addentrarsi in storie tipicamente
dai margini come The Middle of Nowhere, scritta
insieme all'amico Billy Bob Thorton, e Conjure Child, o di inventarsi affascinanti
personaggi femminili come la protagonista di Hoochie
Woman. Potrebbe essere uscito nel 1970 o giù di lì questo Rain Crow
e non ci saremmo accorti della differenza: le chitarre azzannano la carne con
un boogie ossessivo, il battito è a dir poco primitivo in Opening of the Box,
Right Back in the Fire è la prima e unica
ballata in scaletta, sussurrata e profonda nel tono da baritono di Tony e il serpeggiare
fra armonica e chitarra acida di Tell Me A Swamp Story nel finale è una
specie di manifesto dell'autore, della sua terra e del modo di legare quest'ultima
al suono che gli gira nella testa.
Che tutto ciò abbia la stessa potenza
di quando uscì il classico Polk Salad Annie lo lascio decidere a voi: a settantadue
anni, riflettendo sullo scorrere della vita, l'impressione è che Tony Joe White
non possa che cantare sempre la stessa canzone, con immutato fascino.