Leyla McCalla
A Day for the Hunter, A Day for the Prey
[Jazz Village 2016
]

www.leylamccalla.com

File Under: haitian folk

di Fabio Cerbone (29/06/2016)

Il viaggio di riscoperta delle proprie radici cultural-musicali si fa sempre più intenso per Leyla McCalla, violoncellista di origini haitiane conosciuta per la sua collaborazione con i Carolina Chocolate Drops e ormai resasi indipendente attraverso una singolare carriera solista. Oggi quest'ultima approda ad un secondo capitolo se possibile ancora più asciutto e densamente folk rispetto all'affascinante predecessore, quel Vari-Colored Songs che aveva imposto il nome della McCalla fra le più affascinanti chanteuse di una canzone roots meticcia. Siamo di nuovo a metà strada fra New Orleans e i Caraibi, tra il French Quarter e l'amata Haiti, isola da cui proviene la storia dei genitori di Leyla, lei nata a New York e diplomatasi con studi classici sul violoncello, poi attirata dal battito della strada e del folklore americano.

Se in passato il riferimento alto era rappresentato dal poeta afro-americano Langston Hughes, a cui in parte era dedicato l'esordio, oggi la presa di coscienza di Leyla è più personale, intrecciando una coscienza sociale e temi che indagano la sua condizione di donna figlia di immigrati in America. A Day For The Hunter, A Day For The Prey, proverbio haitiano e titolo di un libro di Gage Averill sulla musica popolare di quel paese, è ancora una fusione di linguaggi fra l'inglese, il francese e il creolo delle isole caraibiche, che grazie all'interesse suscitato dal debutto del 2013 può avvalersi di partecipazioni importanti, a impreziosire una musica che resta comunque delicata, soffusa come il canto di Leyla McCalla stessa: dall'amica Rhiannon Giddens, ai tempi dei Carolina Chocolate Drops, in Manman, all'inconfondibile chitarra di Marc Ribot, qui tornato sui passi dei ritmi latini con i Los Cubanos Postizos in Peze Cafè, o ancora Louis Michot dei the Lost Bayou Ramblers nello strumentale cajun Bluerunner e Sarah Quintana a duettare nella diafana, dolcissima Salangadou. Fin troppo rigoroso nella sua scarna veste acustica, l'album svela un fascino ancestrale e richiede silenzio e disposizione d'animo: solo così si potrà apprezzare il lavoro di melting pot musicale messo in atto da Leyla McCalla, alla ricerca di tradizioni che possano colloquiare fra loro.

Il messaggio nel 2016 è più forte che mai, e il violoncello della protagonista, centrale quanto violino e chitarre acustiche, lo sottolinea nel sound sinuoso della stessa A Day For The Hunter, A Day For The Prey, nella danza creola di Les Plats Sont Tous Mis Sur La Table, solo voce e archi, e nello scuro folk dalle ascendenze appalachiane di Little Sparrow. Non si pensi comunque a un disco senza variazioni stilistiche: pur nella sua intransigente veste, alterna piccole soprese come il passo klezmer della melodia di Far From Your Web, con banjo e fiddle a piroettare, accenna morbide ballate sospese fra classicismo e tradizione roots con Let It Fall, chiudendo poi fra un dolce ancheggiare caraibico in Fey-O e un ritorno per i vicoli più poveri di New Orleans con Minis Azaka.

Personale, differente, il folk di Leyla McCalla parla un lingua antica ma cerca un incontro di culture per leggere la trama del suo presente.


   


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