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folk rock maestro di
Fabio Cerbone (23/06/2015)
Con l'ironia tutta british che lo contraddistingue, e che ne segna spesso il songwriting,
Richard Thompson si chiede se il titolo scelto per il nuovo album, Still,
non voglia anche sintetizzare il pensiero di molti: "Ma suona ancora? Pensavo
fosse morto da anni". Sappiamo perfettamente che non è così, e che Thompson resta
una delle figure chiave del matrimonio folk rock, scandito da una regolarità impressionante
nella sua lunga produzione discografica, forse persino una figura sottovalutata
rispetto ad altri "mostri sacri" in circolazione. L'idea che quella creativa e
imprevedibile chitarra e le sue canzoni incontrassero la produzione di Jeff
Tweedy nel famoso studio-loft di Chicago, lì dove i Wilco hanno dato forma
alle loro alchimie sonore, era senz'altro una notizia allettante e premonitrice
di un cambio di approccio, di una disposizione artistica capace di mettersi in
gioco.
Non è esattemente questo l'esito di Still: da un certo punto di
vista si tratta di un parziale ridimensionamento, dall'altra è tuttavia la conferma
che la personalità dell'autore inglese è troppo forte per sottostare alle regole
di qualsiasi regista, anche il più estroso. Eppure, ironia della sorte, la precedente
collaborazione con Buddy Miller (per l'album Electric)
suona quasi più contaminata dalle presenze americane rispetto a questi dodici
episodi (un'edizione deluxe propone l'ep "Variations", con cinque brani
inediti), frutto di nove giorni di incisioni. Sorretto dal fedele trio (Michael
Jerome alla batteria e Taras Prodaniuk al basso) e con qualche discreto intervento
di Tweedy e Jim Elkington alle chitarre, Richard Thompson ammette che il contributo
del leader dei Wilco potrebbe sembrare alquanto impercettibile alle orecchie dell'ascoltatore,
ma, si prodiga ad aggiungere, assolutamente indispensabile. I conti li trarremo
sulla distanza, tuttavia la prima impressione è che l'uno-due di cristallina purezza
acustica in She Never Could Resist a Winding Road e
Beatnik Walking o le sferzate elettriche
di Patty Don't You Put Me Down e il nervoso e pungente passo di All
Buttoned Up, siano l'ennesima variazione sul tema principale.
Richard Thompson, come molti venerabili maestri, mantiene insomma un linguaggio
riconoscibile eppure mai risaputo, sussulta fra storie e caratteri pieni di empatia
ed emozioni, offrendo una forma musicale che alterna la malinconia più dolce della
tradizione (Josephine) con la lezione più
brillante del folk rock di cui è tra gli inventori (Long John Silver, la
trascinante No Peace No End), ribaltando spesso
il tutto fra gli intrecci della sei corde elettrica (l'irresistibile e marziale
Pony in the Stable). Logico quindi non sorprendersi più del dovuto per
la bravura e la semplicità quasi naturale con le quali Richard Thompson riesce
sempre a rinnovare se stesso, pur restando fedele al canovaccio. In Still si avverte
giusto qualche imprevisto nella lieve drammaticità di Broken
Doll o nella richiesta disperata di Where's Your Heart (ai cori
le voci di Liam e Sima Cunningham), ma nulla che vada a intaccare le fondamenta
di un suono che è ormai una scuola di pensiero.