Doug
Sahm And The Sir Douglas Quintet The
Complete Mercury Recordings
(box 5cd)
[Hip-O Select 2006]
  
Ancorché spesso indicato come una
possibile risposta americana all'irruenza della British Invasion di Beatles, Kinks,
Stones, Yardbirds, Who, Dave Clark Five etc., e ad onta di un gruppo che nella
ragione sociale gli appiccicava beffardamente il titolo di "baronetto", affermare
ancora che un hippie mai pentito come Doug Sahm aveva qualcosa a che fare
con l'Inghilterra sarebbe come dire che le primarie del costituendo Partito Democratico
siano di un qualche interesse non dico per la stragrande maggioranza, ma per una
risicata minoranza di cittadini italiani. Se qualcosa Doug Sahm aveva in comune
con i prime-movers della Brit Invasion, questo riguardava la comune propensione
a strapazzare la tradizione (nel caso degli americani, paradossalmente, assai
più radicata rispetto a quella di albionici che si limitavano a incrociare rock'n'roll
e rhytm'n'blues con lo skiffle di Lonnie Donegan, a sua volta desunto dalle gesta
delle jug-bands d'oltreoceano), che unita a un talento non comune nell'irrorare
di melodie indimenticabili il tracciato country dei maestri del genere e a una
sovrannaturale naturalezza nell'ibridare rock, blues, jazz, tex-mex, soul, western-swing
e musica cajun diede in pratica vita ai primi sospiri di quello che oggi viene
comunemente definito "roots-rock".
La particolarità dei Sir Douglas
Quintet di Doug Sahm, inoltre, non risiedeva soltanto nell'attitudine a mescolare
le tante anime delle radici americane: impareggiabile è anche l'approccio pigro,
sornione, lazy e fumato ai lambicchi di questa ibridazione, sempre propulsa dallo
stesso spirito alternativo e progressista che spinse Sahm, nel 1966, a lasciare
la città natale di San Antonio, Texas (dove aveva esordito all'età di 11 anni,
dove aveva condiviso il palco con Hank Williams e dove aveva appreso i rudimenti
di chitarra, violino e mandolino), per aderire alle istanze del movimento hippy
in quel di San Francisco. Dalla Bay Area, armati di chitarre, basso elettrico,
tamburi, organo, tromba e sassofono, i Sir Douglas Quintet rivoltarono come un
calzino la tradizione attraverso sei album realizzati per la Mercury o per le
sue sussidiarie Smash e Philips che oggi la sempre più lodevole Hip-O Select
raduna in un elegante box a tiratura limitata in cartoncino rigido, finemente
rilegato e dall'insolito formato da "strip-book". Gli album in questione, Sir
Douglas Quintet +2 = Honkey Blues (1968), Mendocino ('69), Together After Five
('69), 1+1+1=4 ('70), The Return Of Doug Saldaña ('71) e Rough Edges ('73) (manca
giustamente all'appello l'opaco Future Tense ['71], pubblicato per la United Artists
e accreditato a "The Quintet" poiché registrato dal resto del gruppo senza Doug),
sono stati come d'uso rimpolpati da una valanga di inediti e b-sides, nonché da
un intero cd che riproduce in ordine cronologico la stringa di 11 singoli (22
brani in tutto) usciti in versione mono tra il 1968 e 1972.
Ulteriori
cadeaux sono il Mexican EP del 1970, con le versioni in spagnolo (anzi "spanglish",
una mistura di spagnolo, messicano e inglese) di Mendocino,
Nuevo Laredo, And
It Didn't Even Bring Me Down e What About
Tomorrow, e sei brani tratti da altrettante produzioni di Sir Doug,
rispettivamente dei texani Roy Head e Junior Parker (quest'ultimo nativo di Clarksdale,
Mississippi, sebbene giunto a uno spicchio di successo nei dintorni di Houston).
Dopo gli album citati la carriera di Doug Sahm sarebbe stata altalenante nonostante
lavori di ottima caratura come Doug Sahm & Band ('73), con David Bromberg al dobro,
la fisa di Flaco Jimenez, il pianoforte di Dr John e il sax di David Newman, e
avrebbe conosciuto un ultimo sussulto, prima della morte per attacco cardiaco
nel novembre del '99, con l'avventura dei Texas Tornados in compagnia di
Jimenez, Augie Myers e Freddy Fender, da molti definiti (e non a torto) una versione
tex-mex dei Traveling Wilburys.
Ma è nelle tracce qui compendiate che
si può ritrovare il Sir Doug più fresco ed attuale, quello più convinto ed ispirato;
il songwriter che, in combutta col Farfisa spiritato di Augie Meyers e
con la sei corde acida di Tom Nay da Sarasota, Florida, scodella nel piatto
il sublime country alla marijuana di ballate agrodolci come And It Didn't Even
Bring Me Down e Sunday Sunny Mill Valley Groove Day,
il roots-funky di Are Inlaws Really Outlaws?,
il bluesaccio di Sell A Song, il panorama
psichedelico e spagnoleggiante di Mendocino, la sincope ritmica e chitarristica
di She's About A Mover, il country-pop di
Yesterday Got In The Way, la sbrindellata
malinconia folkie di Texas Me, l'assalto garage à la Mexico di Dynamite
Woman o ballate stracciamutande della passione e della voluta ingenuità
di Lawd, I'm Just A Country Boy In This Great Big Freaky
City. Fino ai capolavori di The Return Of
Doug Saldaña, che fin dall'immagine di copertina, che mostra un Doug
Sahm assorto nella propria veranda (con tanto di bottiglietta di birra Big Red
mezza vuota in mano), suggerisce i caratteri riflessivi, languidi e spudoratamente
rootsy che lo rendono unico: ascoltate le inquietudini tra folk e r'n'r di Stoned
Faces Don't Lie e Oh Lord, Please Let It Rain
In Texas e preparatevi ad entrare ad occhi aperti in quel "groovers'
paradise" sovente vagheggiato da questo piccolo, grande autore che solo il destino,
al solito maledettamente cinico e baro, ci ha costretti a salutare con assurdo
e lacerante anticipo. (Gianfranco Callieri)
www.dougsahm.com
www.hip-oselect.com
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