Willie Nile
Positively Bob. Willie Nile Sings Bob Dylan
[River House 2017]

willienile.com

File Under: New Dylan for Bob

di Fabio Cerbone (15/07/2017)

Nell'anno del tanto agognato Nobel a Bob Dylan, uno dei pù generosi "nuovi Dylan" non si tira indietro dall'omaggiare il maestro. È la voce di Willie Nile quella che cerca di cogliere il mistero e la forza di un canzoniere da far tremare i polsi e prova a dare un senso attuale a canzoni che in verità non ne hanno affatto bisogno, avendo trasceso il tempo della modernità. Sappiamo quanto Nile sia legato a doppio filo con la figura di Dylan, proprio a partire da quell'esordio, era il tramonto dei Settanta, che faceva cadere la puntina sui solchi di Vagabond Moon e annunciava, ai pochi che se ne accorsero (purtroppo), l'avvento di un piccolo agguerrito rocker di Buffalo, che prendeva il fervore folk dei sixties e lo accompagnava alle chitarre del punk e alle "strade di fuoco" della New York di quello scorcio di fine decennio.

Da allora sono passate stagioni e sfortune, rinascite e ritorni, tanto che oggi Nile si è costruito il suo percorso, trovando un luogo in cui fare resistenza tramite il suo rock'n'roll onesto e innocente. Positively Bob nasce da un'occasione fortuita, Willie chiamato a interpretare quattro canzoni di Dylan per un concerto che celebrava i settantacinque anni di quest'ultimo. Da lì alla concezione del disco il passo è stato breve, anche se non obbligatorio, aggiungiamo noi. Perché nel diritto di dichiarare queste canzoni ancora essenziali per decifrare il mondo che abitiamo, Nile le affronta con rispetto ma senza guizzi di genio (che d'altronde non ci saremmo aspettati), infilandosi in un'operazione che ha un sapore personale, certo, un atto di devozione, forse, ma a livello musicale e discografico nulla aggiunge sia alla carriera dell'interprete, sia, evidentemente, a quella dell'artista omaggiato.

Inciso senza fronzoli con una squadra di amici e collaboratori ben noti, trai quali spicca il collega James Maddock alle chitarre e cori, Positively Bob si mette sulle tracce soprattutto del Dylan "profeta" folk dei sixties e lo rispolvera in chiave di arrembante rock urbano e svelto power pop, come lo possiamo sentire nelle versioni di The Times They Are a Changing, A Hard Rain's A-Gonna Fall e Blowin' in the Wind (si poteva evitare, francamente) prima di virare verso la giravolta elettrica di Subterranean Homesick Blues. Affrontate con sentimento, ma senza una vera ragione di riscrittura, queste canzoni reclamano a gran voce di essere lasciate in pace, troppo sedimentate nella storia per avere altra interpretazione che non sia davvero alterata, inedita, imprevedibile. Non è il caso di Nile, che sceglie per forza di cose un approccio semplice e affezionato, che acquisisce nella seconda parte un tono più acustico con I Want You, gigioneggia con la filastrocca country You Ain't Goin Nowhere (troppo ricalcata sull'originale) e si abbandona finalmente nel ripescaggio di qualche episodio più curioso e meno prevedibile, come Every Grain of Sand e Abandoned Love (brano di metà anni settanta che uscì ufficialmente solo in Biograph).

Che tutto questo sia nato per un sincero augurio di compleanno e per atto di adorazione verso Dylan lo comprendiamo, che sia altrettanto indispensabile, anche per la stessa carriera di Willie Nile, assai meno.



    

 


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