Morphine
At Your Service
[Rykodisc/ Audioglobe 2010]
35 canzoni, più di 2 ore di musica, e Bill Convay nelle note di copertina
assicura che Mark Sandman usava registrare qualunque concerto e idea, per
cui l'impressione è che questo torrenziale e doppio At Your Service,
che la Rykodisc licenzia per celebrare i dieci anni dalla morte del leader dei
Morphine, sia solo l'inizio di una pletora di prodotti postumi, roba che potrebbe
far impallidire la discografia post-mortem di Jimi Hendrix. Già, Hendrix appunto,
un nome che non tiro fuori a caso, se è vero che Sandman amava definire la sua
band come i "Baritone Experience". Esiste infatti una sorta di macabro parallelo
tra la sua morte e quella di Jimi, niente di strettamente musicale o storico (e
ovviamente fatte le debite distanze di importanza e mito), ma solo alcune curiose
coincidenze. Entrambi sono morti quando avevano già espresso uno stile unico e
particolare, ma sia Mark che Jimi erano nel pieno di una nuova esplosione creativa,
stavano sperimentando nuove vie, nuove sonorità, Jimi con nuove band, Mark aveva
invece aperto le porte dei suoi studi a collaborazioni e nuove influenze. La storia
dei Morphine si dipana in quattro bellissimi album che il mondo della musica non
seppe bene come catalogare, e poi c'è un quinto capitolo, The Night, uscito postumo
ma in verità già rifinito, un disco ancora oggi inquietante e sconquassante che
lascia aperti grossi interrogativi su dove sarebbe arrivata la loro musica se
il cuore di Sandman non avesse ceduto sul palco di una triste sera romana.
I Morphine negli anni 90 hanno distorto il canovaccio di rock-band esattamente
come fecero gli Experience negli anni 60: si presentavano come un trio jazz, basso-batteria-sax,
roba da era del bebop, ma le dinamiche erano ben diverse. Nelle due band infatti
la base ritmica aveva un elemento di stabilità che non usciva mai dagli schemi
(negli Experience era il bassista Noel Redding, nei Morphine invece il severo
batterista Bill Convay), mentre il partner era libero di stravolgere ogni
regola del proprio strumento: Mitch Mitchell era solito seguire la melodia e gli
assoli della chitarra invece che tenere il tempo (probabilmente l'errore numero
uno segnalato da qualsiasi manuale del buon drummer), mentre Sandman si era inventato
un basso a due corde, solo il mi e il la, strapazzati su un manico senza tasti
con approccio da chitarrista e l'insolito uso del bottleneck per ottenere l'effetto
"slide-bass" che rimane il marchio di fabbrica della ditta. E poi il solista:
da una parte Hendrix, basta il nome e non c'è nulla da spiegare e ricordare, ma
di qua un sassofonista (Dana Colley) che da solo bastava a coprire tutte
le frequenze, tanto che mai si ha con loro la sensazione di musica scarna.
I critici impazzirono nel cercare di non dover ammettere che questi bostoniani
si erano davvero inventati qualcosa di grande, si cercarono in fretta precursori,
e qualcuno dotato di buona memoria si ricordò dei Backdoor, stessa formazione,
ma una produzione di dischi strumentali a metà degli anni settanta (ma reunion
negli anni 2000) che erano invece un tentativo (anche riuscito in molti casi)
di ricreare la veemenza dell'hard rock con suoni jazz. Roba che aveva poco a che
fare con i Morphine dunque, mentre l'abitudine di Colley di suonare due sax contemporaneamente
ricordò a qualcuno il simile funambolismo di Dick Heckstall-Smith dei Colosseum.
Sandman invece veniva dal blues, la sua incarnazione precedente (i trascuratissimi
Treat Her Right) suonavano esattamente come i Morphine, solo con un armonicista
al posto del sax, la presenza poi ritenuta superflua di una chitarra, brani con
strutture più bluesy e senza quello strano tocco dark-new wave fuoriuscito con
la sua seconda creatura.
Questa è la storia raccontata da At Your
Service, fate voi se considerarlo un perfetto e completo strumento per
conoscerli se li ignoravate, o un semplice feticcio per fans da comprare solo
se avete già i cinque album in studio, la raccolta di b-sides e il live che lo
precedono. E' un lungo viaggio, emozionante ed oscuro, tra brani live già noti
(Good, Claire…),
qualche deliziosa outtakes sfuggita ai precedenti rastrellamenti (Come
Over, Come Along,
Women R Dogs) e alternate version che rendono evidente solo come
la band provava i brani in diverse tonalità prima di scegliere quella giusta per
l'album (si sentano le classiche Buena o Empty
Box). In ogni caso siete avvertiti, tutto qui suona a meraviglia, ed
è un degno modo di ricordare la band del decennio scorso che forse sta invecchiando
meno rispetto ai tanti compagni di viaggio della X-generation. Probabilmente perché
erano fuori dal tempo già ai loro tempi. (Nicola Gervasini)