Possibilmente aspetto altre canzoni. Concludevo
così la mia recensione di For
Free, il disco di David Crosby uscito l’anno scorso.
E lui mi ha accontentata, almeno in parte. Perché se è vero che non ci
sono composizioni nuove in questo live registrato allo storico Capitol
Theatre di Port Chester, NY, troviamo tuttavia ottime versioni inedite
di brani noti. Giunto alla eight decade con i suoi miracolosi ottantun’anni,
Croz suggella l’alleanza intergenerazionale avviata da qualche anno con
i nipotini della Lighthouse Band – Becca Stevens, Michael League e Michelle
Willis - quasi a dire che, dopo infiniti minuetti tra formazioni storiche
e incarnazioni più recenti, che hanno accompagnato le sue tante rinascite,
questo è il format che, al presente, gli si confà maggiormente. E così
sceglie l’8 dicembre 2018, ultima data del tour promozionale di Here
if You Listen, nonchè festa dell’Immacolata Concezione - che
a lui farà un baffo (anzi, un baffone) ma che in qualche modo richiama
la purezza della sua musica - per consegnarci la sua dimensione live,
documentata anche visivamente dal dvd che completa il pacchetto.
Peter Shapiro, proprietario del Capitol, dichiara di sentirsi onorato
per essere stato prescelto, mentre la BMG si frega le mani e fa uscire
in anteprima il singolo 1974,
non una canzone qualsiasi. Perché, quando Crosby la presenta al Capitol
come una canzone nuova, in realtà si riferisce alla sua versione live,
in quanto era già stata pubblicata su disco. Ma qui c’è una storia da
raccontare. Questa splendida canzone è un caso di long-lost demo track,
una traccia perduta nel tempo. Il suo autore (un po’ pasticcione) confessa
di averla sballottata per quarant’anni da un hard disk all’altro senza
farne nulla. Finchè capita nelle mani del chitarrista e vocalist della
Lighthouse Band, Michael League, il quale se ne innamora immediatamente.
Dice a David: senti, man, questa cosa va assolutamente completata. Ok,
risponde lui, facciamolo. Viene coinvolta Becca che nel giro di un paio
di giorni si presenta con una four parts harmony (un’armonia a quattro
voci) e, dopo un lavoro di gruppo e quarant’anni di letargo, la canzone
sboccia e viene incisa nel disco del 2018 Here if You Listen. Breve.
Là durava tre minuti, su questo live anche meno. Ma che meraviglia questa
capacità di sintesi, questo saper addensare la grazia in una trascurabile
porzione temporale. Tutta polpa, si direbbe in lessico pubblicitario.
Un po’ come succede in What Are Their Names, un minuto ripescato
dal primo inenarrabile disco solista che tutti abbiamo mandato a memoria,
ma che conserva la potenza di quell’antico monito pacifista.
Dando una scorsa alla tracklist, l’esibizione al Capitol parrebbe la celebrazione
del disco del 2016, Lighthouse,
talmente ben riuscito da battezzare il gruppo. Ben cinque dei sedici brani
provengono infatti dal disco del faro. Sono uno più affascinante dell’altro,
a voi il piacere di scoprirne i titoli. Alcune particolarità meritano
tuttavia una sottolineatura, come l’attitudine jazzy di The
City, con le corde slappate alla Jaco Pastorius; ma anche l’attimo
di trepidazione all’inizio di By the Light of the Common Day, quando
l’ugola di Croz vacilla e la Family prontamente lo soccorre. Perché sì,
questo disco certifica l’alchimia tra l’anziano saggio e i suoi freschi
sodali. Le note ufficiali che accompagnano l’uscita del nuovo lavoro grondano
di attestazioni di stima e affetto. Becca Stevens: “La Lighthouse Band
è una famiglia; io non sono cresciuta con la musica di Crosby e lo avevo
sentito soltanto nominare, ma ora posso dire di conoscere un uomo generoso,
completamente pazzo e un musicista dall’ispirazione inesauribile; nonostante
la sua immensa fama sta con tre giovincelli strambi e mostra loro la luce”.
Michelle Willis: “David ci regala amicizia, saggezza, umorismo; lui crede
davvero che la musica possa cambiare profondamente le cose e rendere le
persone migliori”.
Anche Here if You Listen viene adeguatamente rappresentato nel
Live at the Capitol Theatre e non poteva essere altrimenti
visto che entrambi datano 2018. Poi certo, non potevano latitare i brani
topici di un’intera carriera e qui ne troviamo un dignitoso drappello.
C’è una Laughing in cui la confessione
“I was mistaken” si percepisce più sommessa che nell’originale: sarà che
il timbro vocale si è leggermente appannato, sarà l’imbarazzo di ammettere
– trascorso mezzo secolo – che credeva di aver raggiunto la verità invece…
si stava sbagliando. Sta di fatto che poi arrivano i dieci minuti di una
mirabilmente dilatata Deja Vu, dove
le ampie lanche strumentali bruciano ossigeno ai rimpianti, restituendo
fiato ai ricordi sentimentali di una Guinnevere,
nella fattispecie dedicata “a una persona meravigliosa”, cioè la moglie
Jan. La conclusione del concerto, affidata a Woodstock, suscita
qualche interrogativo retorico e non tanto per l’incessante omaggio a
quella Joni Mitchell cui il nostro si sente indissolubilmente legato,
quanto piuttosto perché Woodstock è la canzone icastica dello status giovanile,
degli orizzonti aperti e delle pervicaci convinzioni. E quando ti ritrovi
vecchio e hai vissuto un’esistenza talmente in bilico da mettere in discussione
tutte le tue certezze, allora è esattamente lì che torni a cercare quello
che eri, il tuo giaccone di crosta a frange e le fragilità che allora
non sapevi.
Ha ragione Marco Grompi quando osserva, nella sua biografia sull’ultimo
eroe dell’Era dell’Acquario, che “i miti, a volte, sono più terreni di
quanto si possa immaginare” (David Crosby. Ultimo eroe dell'era dell'Acquario,
Vololibero 2019). Che poi quando s’invecchia succede di desiderare anche
un’altra cosa: le convergenze. Sarà per questo che l’aggettivo parallel
è ricorrente in questo disco: ci sono i binari paralleli di Things
We Do for Love e i sentieri che corrono paralleli di The UsBbelow.
O forse sarà semplicemente per trovare una risposta a un quesito sublime,
tipicamente tardo-crosbyano, che fa: “Why must we be eternally alone?”.