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indie pop di
Yuri Susanna (27/02/2013)
Un
passo falso? A un primo ascolto, viene la tentazione di liquidare così {Awayland}.
Ma. Per fortuna, c'è un "ma" (congiunzione avversativa). Il dovere di ascoltare
musica con il fine di scrivere una recensione reca con sé alcuni vantaggi. Tra
gli altri, quello di sentirsi in obbligo di non fermarsi alla prima impressione,
di lasciare sedimentare gli ascolti, le sensazioni, i giudizi. Così, quel senso
di fastidio e delusione che aveva preceduto l'uscita del nuovo lavoro dei Villagers
(ovvero la via irlandese all'indie folk/pop) dopo le prime anticipazioni - i singoli
The Waves (un tappeto elettronico che si
srotola dribblando l'abbraccio dei fiati, andando a naufragare su uno scoglio
di ossessiva rumorosità) e Passing a Message
- si è andata via via stemperando, la evidente necessità di allargare il lessico
espressivo in direzioni poco ortodosse ha preso un significato in qualche modo
coerente, nell'insieme di un album che, se non ripete la magia di Becoming
a Jackal, evita di esserne una ripetizione facile e scontata.
Conor
O'Brien (i Villagers sono lui, senza offesa per gli altri) ha confessato di
avere fronteggiato la più classica delle sindromi da pagina bianca, il terrore
di avere smarrito l'estro sulla scia dei consensi (meritati) di quel disco d'esordio
che a un certo punto gli deve essere sembrato come una montagna troppo alta da
scalare una seconda volta. Ha saputo uscire dall'impasse con coraggio e intelligenza:
tirando la coperta dell'ispirazione di qua e di là, misurandosi con i limiti delle
proprie capacità espressive, cercando di aggiornare il linguaggio. Qualche volta
i piedi restano scoperti (come in certi sconfinamenti in una grandeur pop/rock
sinceramente fastidiosa - sembra di sentire i peggiori Coldplay), qualche volta
invece le sue liriche immaginifiche e ad alto tasso di letterarietà trovano una
forma di esaltazione nei nuovi arrangiamenti, spessi e stratificati: intrusioni
elettroniche, archi sintetici, vibrazioni elettriche sotto le quali si intravede
ancora quella scrittura folk (la musa è Nick Drake, dopo tutto) che era venuta
allo scoperto nel disco precedente. Se Becoming a Jackal era un concept sul diventare
adulti, {Awayland} narra l'ingresso e la deriva nel mondo, e dal mondo prende
in prestito anche la polimorfia dei linguaggi.
My
Lighthouse apre l'album agganciandosi all'intimità acustica del passato,
ma è un'illusione che dura non più di tre minuti: già Earthly Pleasure,
un pastiche di interferenze elettroniche, archi e squarci chitarristici, la già
sentita The Waves e poi Judgement Call
(tra i Radiohead della svolta kraut e i Depeche Mode) indicano che la nuova direzione
non consente ripensamenti. In realtà qualche concessione a una scrittura più lineare
c'è, come il terzo singolo Nothing Arrived,
uno dei brani più memorabili anche grazie al calembour a presa rapida del ritornello
("I waited for Something, and Something died. So I waited for Nothing, and Nothing
arrived"). Ma i nuovi Villagers vanno cercati nell'annaspare di The
Bell, nelle cadenze dance frantumate di Passing a Message (che
alla fine non è così male come era parsa all'inizio), nel rigoglio orchestrale
di Rhythm Composer. Troppo disomogeneo per
essere un disco davvero ben riuscito, nella sua natura interlocutoria {Awayland}
mostra comunque sufficienti segnali positivi da farci credere che l'attenzione
sui Villagers sarà ben ripagata nel prossimo futuro.