Nel '92 i Sonic Youth lanciarono un appello dal palco di un locale milanese (che
ora ha chiuso i battenti, pace all'anima sua) che suonava più o meno così: "I
think this place should probably change its name, 'cause the Rolling Stones are
dead, men!". Poco importa se al nome del locale mancava la "s" finale, la voglia
di provocare il pubblico fu evidentemente troppo forte. Quello che non poteva
immaginare, il buon Thurston Moore, allora alla guida della più venerata
e seminale band di rock alternativo in circolazione (erano riusciti anche a sopravvivere
alla firma per una major, due anni prima), era che il tempo avrebbe consumato
la sua vendetta, trasformando con gli anni i Sonic Youth - beffardo contrappasso
- nei "Rolling Stones dell'underground". Gli ultimi 15 anni di carriera del gruppo,
fatta salva la zona franca avanguardistica dei dischi editi con la sigla SYR -
non hanno fatto altro che offrire (a volte senza riuscire a dribblare un po' di
routine) una proposta sonora che dai tempi di Washing Machine è mutata assai poco.
"It's only rock & noise, but we like it", insomma.
Poi due anni fa, inaspettatamente,
il quartetto è arrivato a termine corsa: la fine del matrimonio tra Moore e Kim
Gordon - dopo 27 anni - è diventata un "liberi tutti" che ha autorizzato i membri
della band a sfogare il desiderio di avventure private, alla ricerca del lato
in ombra della propria ispirazione. Qualche mese fa segnalammo l'interessante
sortita di Lee Ranaldo, ma era stato proprio Thurston Moore il primo a inaugurare
la nuova era post-gioventù sonica nel 2011 con il terzo album solista, il pacato
e acustico Demolished
Thoughts. Ora però è arrivato il momento di fare sul serio e Moore
è pronto a misurarsi più apertamente con la sua eredità. Reclutati tre giovani
sodali (giovani nello spirito, se non altro: Samara Lubelski, che impugna il basso,
è nel giro da vent'anni, mentre il secondo chitarrista Keith Wood è un baldo 35enne),
decide di giocare su un terreno familiare, a cominciare dall'alchimia degli strumenti
(due chitarre, basso, batteria). E l'esordio dei suoi Chelsea Light Moving
conferma la matrice "sonica" del progetto, pur con qualche distinguo.
Heavenmetal
è una carezza velvettiana di benvenuto, ma già il secondo brano, Sleeping
Where I Fall, sfodera uno dei tipici riff à la Moore (e di quelli
buoni: era più o meno dai tempi di Thousand Leaves che non ne sentivamo di così
efficaci) e il fantasma della vecchia band da lì in poi allunga la sua ombra un
po' qua e un po' là. Nel gioco di pieni e vuoti di Empires
of Time, per esempio. O nella breve scheggia noise di Lip. O,
ancora, negli sperimentalismi di Mohawk e nel pop imploso di Frank
O'Hara Hit. La buona notizia è che, anche senza la metronomia ritmica
di Steve Shelley o la spalla chitarristica di Ranaldo (e, ovviamente, senza la
voce della Gordon), le composizioni di Moore funzionano comunque bene, riescono
a trovare l'equilibrio dei tempi migliori, tra rumore ed eterea levità. C'è poi
anche una sana brama di urlare e fare casino, fino a sconfinare in altri generi
(nel metal - vedi i passaggi stoner di Alighted
- o nell'hardcore classico, con la cover dei Germs che sigilla il disco). Thurston
Moore non ha alcuna voglia di andare in pensione, anzi, i Chelsea Light Moving
sembrano essere il luogo prescelto di una seconda giovinezza. E' il messaggio
che si legge tra le righe di questi 10 brani.