È difficile resistere a un’ouverture come Route
66, messa lì all’inizio di una lunga circumnavigazione sonora
che sembra provenire non soltanto da un altro spazio, ma persino da un’epoca
indefinita. La Mother Road è l’alba e il tramonto di ogni viaggio americano
e la versione offerta della J. & F. Band è originale perché da
una parte rallenta la canzone fino a farla diventare una sorta di tema
jazzato, rarefatto e sincopato, dall’altra la usa come trampolino di lancio
per gli inserti strumentali che si susseguono di volta in volta e che
riflettono l’eclettismo dei musicisti che riescono a generare una piccola
suite, molto affascinante e vicina a una colonna sonora.
La doppia batteria (Jaimoe e Tiziano Tononi) sostiene e spinge
con energia inusitata e si sente anche in Star
Motel, una canzone originale che si snoda attraverso le immagini
delle parole non meno che quelle evocate dalle intersezioni di chitarre
(Bobby Lee Rodgers, Craig Green, David Grisson), violino (Emanuele Parrini)
e sassofono (Jon Irabagon) e tastiere (Paolo Durante), tutti coadiuvati
e coordinati dal basso di Joe Fonda.
Se per due punti passa una linea, le soluzioni di Route 66 e Star
Motel sono più che sufficienti a dare un’indicazione sulle atmosfere
sonore sviluppate dalla J. & F. Band. Non che ci siano particolari stravolgimenti
rispetto al passato (dove si erano già espressi con altrettanta qualità,
ricordiamo almeno Me and the Devil), ma vuoi per il concept coraggioso,
vuoi per la coesione maturata, qui suonano più portentosi che mai. Si
possono sentire gli Allman (oltre alla presenza di Jaimoe, Star Motel
è dedicato a Dickey Betts) e i Dead, Santana e i Traffic nonché la
Marshall Tucker Band con una rivisitazione spaziale di Take The Highway,
ma dentro tutti i riferimenti impliciti ed espliciti la J. & F. Band ha
saputo ricamarsi un’identità propria tra raffinate riletture, derivazioni
jazzistiche, improvvisazioni fulminee e, in generale, uno spirito “free”
che ormai è un bene tanto prezioso quanto raro.
Musica libera da qualsiasi schema capace di passare da Mingus a Jimmy
Reed senza esitazioni perché l’afflato è quello di un ensemble aperto
a tutte le soluzioni e se un disco dedicato alle “long song” (qui ci sono
brani che durano anche più di un quarto d’ora, e anche i finali diventano
piccole suite) non basta, la J. & F. Band ne ha inciso un altro di strumentali
dove le peculiarità di ogni musicista emergono ancora di più. Sono tutti
talentuosi, ma vogliamo ricordare almeno David Grissom che spesso
con la J. & F. Band lo troviamo molto più ispirato che in altre occasioni.
Tutto questo è reso possibile da un produttore e discografico, Fabrizio
Perissinotto, che da un bel po’ di tempo si dedica alla creazione di dischi
come non se ne fanno più: idee, arrangiamenti e scelte all’insegna della
libertà di espressione, registrazioni e qualità sonore impeccabili (ascoltate
Star Motel a un volume folle e diventerà davvero “un’esperienza
musicale americana” a tutto tondo), confezioni semplici, ma molto eleganti.
L’unica guida è la passione, ma giunti a questo punto, dovreste averlo
capito da soli.