Più che di un vero e proprio gruppo, Farewell
Friend è il nome del progetto di cantautorato portato avanti da Tom
Troyer, nativo dell’Indiana ma residente a Greensboro, nella North Carolina.
L’uscita di The Silent Years rappresenta per il leader e
autore il culmine di un lavoro quasi decennale, nonostante abbia comunque
pubblicato in questo lasso di tempo altri due album ed un EP. Si tratta
di uscite autoprodotte rintracciabili su Bandcamp,
essenzialmente in formato digitale. Questo album è, per ammissione stessa
del suo autore, quello più compiuto ed elaborato, trattandosi di un concept
basato sulla malattia terminale di sua madre e la conseguente evoluzione
del rapporto con il figlio, andando poi a toccare anche tematiche più
generali legate al dolore, all’ansia ed alla depressione.
Sebbene siano argomenti piuttosto “pesanti”, il mood generale dell’album
è decisamente piacevole ed è riconducibile ad un equilibrato mix di rock,
folk e blues. A questi riferimenti classici aggiungerei anche che le sonorità
sono affini a quelle dell’alt-country alla Wilco, oppure ad un certo cantautorato
indie (mi vengono in mente Devendra Banhart e Sufjan Stevens). Tom Troyer,
oltre ad essere l’autore unico di questo e dei precedenti lavori, ha accumulato,
nel corso degli anni, un’ormai consistente esperienza di registrazione
e produzione, tanto da aver aperto il proprio studio nel 2018, denominato
Black Rabbit Audio, nel quale ha già registrato e prodotto una ventina
di album, compresi naturalemente quelli dei Farewell Friend.
La scrittura del leader si è fatta sicura e robusta e gli anni di lavoro
in questo senso si sentono, così come la sua sicurezza alla voce ed alla
chitarra. Il livello generale dei musicisti intervenuti alle registrazioni
è inoltre elevato e sono anche quelli che solitamente accompagnano Tom
Troyer nelle sue esibizioni dal vivo, prevalentemente localizzate nella
East Coast. Personalmente ritengo particolarmente riusciti i brani più
lunghi, come The Fever, che arriva
a superare i sette minuti e che nella seconda metà va a crescere d’intensità,
sia nella modulazione della voce, sia nella cavalcata strumentale con
la chitarra elettrica ed un violino discreto ma incisivo. Simile nell’andamento
ed anche nella riuscita il brano The Formula,
che sfiora i sei minuti.
Tutto l’album non ha praticamente punti deboli, il livello dei brani è
piuttosto alto ed omogeneo, forse anche troppo, probabilmente un minimo
di “sporcizia” o un guizzo in più avrebbero senz’altro giovato a un lavoro
comunque complessivamente solido e sincero, che però mi sembra manchi
un po’ di originalità. Nel mare magnum delle uscite musicali a livello
globale, sarà veramente difficile che Tom Troyer e i suoi sodali riescano
a emergere e andare oltre un seguito che purtroppo temo rimarrà solo confidenziale,
augurandomi evidentemente di venir smentito quanto prima.