Torgeir Waldemar
Love

[Jansen Records 2020]

torgeirwaldemar.bandcamp.com

File Under: Oslo, California

di Yuri Susanna (03/03/2020)

E' un bravo ragazzo, Torgeir Waldemar. Non fatevi fuorviare dalla posa ombrosa e dal look da biker scandinavo accigliato che vi osserva dalle fotografie promozionali del suo ultimo (e terzo, per la cronaca) album. Waldemar è cresciuto con un’indefessa fede nel rock, a cui ha dedicato gli anni della giovinezza suonando in una band norvegese di discreta fama locale, finché, raggiunto il mezzo del cammin di nostra vita, si è tagliato una carriera solista su misura che gli sta regalando più di una soddisfazione. Il primo omonimo disco, classica opera da troubadour, è stato nominato per il corrispettivo norvegese dei Grammy (categoria country, pensa te) e il secondo, più elettrico, ha risvegliato l’attenzione anche dei media anglosassoni. La terza fatica, proverbialmente la più difficile, non sembra in realtà averlo intimorito più di tanto. Love è un disco registrato in scioltezza, che fa della natura da jam psichedelica delle sue composizioni (tutte abbondantemente sopra i sei minuti, tolti alcuni brevi interludi acustici) la sua forza, confessando la matrice di un rock deja vu che guarda alla stagione californiana, tanto per cambiare, e acchiappa la coda di uno dei tanti revival dell'ultimo decennio.

Un bravo ragazzo, dicevamo. Waldemar ha lavorato in un centro per il recupero dalle tossicodipendenze, è attento alle problematiche sociali e ambientali, manca solo di vederlo presso i semafori in attesa di vecchiette a cui fare attraversare la strada. No Offending Borders lanciava strali contro la politica migratoria repressiva del governo norvegese, mentre Love, fin dal titolo, si presenta come un disco di intonazione privata. In realtà dell'amore, a Waldemar, interessano anche e soprattutto i risvolti collettivi: così si spiega l'accorato grido d'allarme ecologista della conclusiva, sciamanica (e pure epica, nelle dimensioni: 14 minuti e 40 secondi) Black Ocean. Credo che abbiate inquadrato a sufficienza il personaggio. Comunque la pensiate, non c'è però bisogno di condividere la sua stessa visione del mondo per apprezzare Love: al di là della ingenuità delle liriche (sicuramente non il punto di forza dell'album, per usare una litote) c'è di che compiacersi, all'ascolto dei 5 brani che lo compongono, soprattutto se apprezzate il country rock psichedelico messo a fermentare nell'acido delle chitarre.

Se avete pensato: Neil Young, non avete sbagliato. E' il canadese la stella polare che guida l'ispirazione di Waldemar, declinato sia nella versione con i Crazy Horse (la melodia deragliata dalle chitarre di Heart and Gold, il folk-rock agro di Contagious Smile) sia in quella ad alto tasso armonico dell'era CSN&Y (Leaf in the Wind). Ma se il disco precedente suonava molto ortodosso nell'adesione al culto del "cavallo pazzo", quest'ultimo lascia intravedere altre fonti di ispirazione (per esempio il buon John Cipollina con i suoi Quicksilver) e qualche deviazione - come il tentativo di coniugare la psichedelia di Haight Ashbury e il jazz astrale di Sun Ra in Truncated Souls - ma più o meno tutte racchiuse in un tempo (diciamo 1967-1973) e in un luogo (tra San Francisco e il Laurel Canyon) ben determinati. Se credete che Jonathan Wilson sia stato mandato a salvare il rock, allora prestate ascolto anche alla predicazione di Torgeir Waldemar, uno dei suoi apostoli più convinti.


    


<Credits>