Hugo Race Fatalists
Taken by The Dream
[
Glitterhouse 2019]

hugoracemusic.com

File Under: folk rock in blue

di Domenico Grio
(26/04/2019)

La carriera solista di Hugo Race (accompagnato per lungo tempo dai True Spirits e dal 2010 anche dagli italianissimi The Fatalists) inizia nell’ormai lontano 1989 con la pubblicazione di Rue Morgue Blues, album per molti versi sorprendente che mette da subito in mostra la peculiare capacità dell’ex Bad Seeds di destrutturare con chirurgica maestria il blues e rivestirlo di tetri vessilli e spiccati accenti rumoristi. Da allora, segnata la rotta, la sua prolifica produzione discografica si arricchisce, di anno in anno, di autentici capolavori pregni di visioni sotterranee, di liturgie desertiche, di immanenti suggestioni. Le opere succesive all'esordio brillano di luce propria, superano di slancio gli asfittici ed intellettualoidi ambiti di certo indie rock e impongono forme sonore ipnotiche di lucida e dirompente drammaticità. Come se non bastasse, tra i vari ed eterogeni progetti Hugo trova anche il tempo di fondare, assieme a Chris Brokaw (Come e Codeine), presente in questo disco come ospite e Chris Eckman (Walkabouts), i Dirtmusic, pubblicando degli album in cui l’industrial blues, lo slow core ed il folk rock si mischiano con eleganza e inusitato fascino alla cultura musicale africana (con BKO e Troubles siamo a livelli di eccellenza assoluta).

In tutto ciò, se da un lato è indubbio che queste parallele esperienze artistiche lo abbiano arricchito, dall’altro è senz’altro vero che hanno rubato tempo ed energie ai lavori a sua firma, rallentando la produzione discografica e intaccando la forza espressiva delle canzoni. Con questo Taken by the Dream, invece, il musicista australiano riprende brillantemente il filo del discorso e dà alle stampe forse il suo miglior disco da vent’anni a questa parte. Accompagnato da Diego Sapignoli e Francesco Giampaoli dei Sacri Cuori e supportato, tra gli altri, da Giovanni Ferrario e dal fido Michelangelo Russo, Hugo riparte dall’Italia e da un linguaggio come sempre asciutto e grave ma maggiormente legato alla canzone d’autore ed a racconti folk notturni ed ansiogeni. E’ tutto il suo background a rifluire, i suoi anni ottanta, l’amore per Dylan e Cohen, le affinità elettive con Nick Cave, Mark Lanegan, Howe Gelb e PJ Harvey, è tutto il suo talento ad alimentare la costante tensione dei brani, ad imporre rituali strategie d’ascolto.

Serve infatti entrare in sintonia con le atmosfere desertiche, strutturali a buona parte dei brani e trovare il giusto metodo per orientarsi in mezzo ai colori pesanti che li ammantano, per cogliere appieno e godere della magnifica essenza dei suoni. Ciò vale forse meno per episodi come This is Desire, in cui si aggiungono profumi di frontiera o come Gonna Get High, rock suburbano dagli accenti etnici e Bow & Arrow, altra cavalcata elettrica arricchita dalla voce della neozelandese Lisa Crawley, in ragione del fatto che trattasi di brani di grande presa, in maniera più evidente invece in pezzi come Symphony, Heaven & Hell o Smoking Gun, dove la tensione sale ma invade lo spazio in maniera strisciante, meno appariscente.

Personaggi come Hugo Race non sanno vivere di rendita e sono essenziali in quanto figli di quella cultura musicale underground unica, in grado di ripotare il concetto di rock al suo primordiale significato. In quest’ottica Taken by the Dream è semplicemente il disco giusto per riesumare questi valori fondanti, con modalità più lineari rispetto allo strabiliante blues lisergico degli esordi, con sonorità meno eccentriche e ruvide ma con intatto e micidiale impatto emotivo.


    


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