| | David
Mayfield
Strangers
[Compass/
IRD
2014] davidmayfieldparade.net
File Under:
indie folk
di
Marco Poggio (28/01/2015) | |
Con
un dna musicale composto, in larga parte, da geni country ed old time, eredità
dei propri genitori, David Mayfield, dopo aver contribuito alla realizzazione
degli album solisti della sorella, Jessica Lea, e aver preso parte all'esperienza
d'assieme, targata Cadillac Sky, si è infine, anch'egli, incamminato lungo un
percorso a proprio nome, giunto oggi alla sua terza, solitaria tappa. Se con l'omonimo,
notevole esordio, e con l'autoprodotto, successore Good Man Down, intestati sì
entrambi alla ragione collettiva David
Mayfield Parade, ma a tutti gli effetti suoi parti "autonomi", il nostro
aveva saputo guadagnarsi il consenso della critica, con l'odierno Strangers,
non solo replica a quanto di buono mostrato in precedenza, ma al contempo sembra,
ancor più, ritagliarsi una propria oasi felice nell'affollato universo indie folk.
A questo ha senza dubbio giovato l'accasarsi presso la Compass Records,
meglio conosciuta quale "Nashville's hippest alternative label", e habitat sonoro
ideale per lo sfaccettato songwriting del barbuto musicista originario di Kent,
Ohio. Sarebbe infatti riduttivo, alla luce della cangiante policromia degli spartiti
mayfieldiani, relegare quest'ultimo all'interno dei confini del suddetto indie
folk, entro i quali egli certo si diverte a scorrazzare a più riprese, non precludendosi
tuttavia estemporanee sortite in altri territori sonori, tanto arcaici quanto
di più moderna fattura. Non deve stupire, pertanto, il trovarsi di fronte ad episodi
sonori in apparenza diversi tra loro, frutto dello scrivere maturo di un songwriter
ben conscio della molteplicità del proprio talento autoriale. A sostegno di tale
tesi troviamo l'opener Caution, rimandante
ai Decemberists invaghiti delle verdi brughiere irlandesi, o In
Your Eyes, quasi un fiddle tune old time nel suo incipit per sola voce
e violino, prima che l'ingresso di un'agile sezione ritmica infonda al tutto una
più incalzante sfrontatezza country grass.
E se l'influenza dell'amico
Seth Avett, su consiglio del quale Mayfield ha iniziato a comporre, è quantomai
palese in ballate di umbratile mestizia quali The One I Hate e la deliziosa
My First Big Lie And How I Got Out Of It,
quest'ultimo, e il di lui fratello, vengono nuovamente chiamati in causa nella
sommessa dichiarazione d'intenti di una struggente The Man I'm Trying To Be.
Notevoli sono, d'altra parte, brani ove ad rifulgere è, invece, il personale tocco
della penna mayfieldiana, vedasi una Ohio (It's Fake)
capace di coniugare trattenuta introspezione folkie ed urticanti, sintetiche trame
moderniste, o la baraonda percussiva di una forsennata Rain
On My Parade. Pertanto, se siete avvezzi alle sonorità poc'anzi descritte,
Strangers è un album che non dovrebbe mancare nella vostra personale discografia,
mentre, al contrario, se appartenete al novero di coloro che storcono il naso
di fronte al movimento indie folk tutto, vi consiglio di lasciar da parte, per
una volta, il vostro integralismo musicale e porvi, senza preconcetti, all'ascolto,
in quanto si definirà pure, a mio avviso peccando sin troppo in modestia, un semplice
intrattenitore David Mayfield, ma è altresì dotato di un songwriting dalla disarmante
freschezza.
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