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Emo-folk-crooner di
Nicola Gervasini (05/06/2013)
Emo-folk-crooner. Sì, avete letto bene. E non è che oggi ho deciso di inventarmi
nuove categorie per crisi d'astinenza da novità epocali in campo folk, la dicitura
se l'è auto-affibbiata nel suo sito personale la stessa Melissa Greener.
Una giustificazione d'immagine più che di stile musicale, se è vero che la country-girl
dai capelli fluenti vista sulla copertina del suo disco d'esordio (Fall From The
Sky del 2006) ha oggi lasciato il posto ad una aggressiva dark-lady con sguardo
deciso, capelli corti con ciuffo (in stile Alejandro Escovedo di un tempo si potrebbe
dire…) e qualche ammiccamento androgino che va molto di moda tra le folk-singer
moderne.
Storia singolare comunque la sua: figlia di una vocalist che
cantava durante gli spogliarelli di un Playboy Club di Detroit e di un hippie
di passaggio, la Greener da giovane ha viaggiato a lungo per il mondo per sfogare
la sua passione per la montagna (il suo lungo tour da trekker ha toccato anche
le Alpi) e per la solitudine. Tornata in patria, è stata fagocitata dall'industria
discografica di Nashville, forse non più capace di intuire che la ragazza non
aveva nessuna intenzione di fare la country-chick tutta capelli cotonati e american
pie nella vita. E così, se già il precedente Dwelling del 2010 faceva intuire
direzioni più indie-oriented, Transistor Corazon si getta definitivamente
in un area da american-singer che unisce la vena melodica di Tift Merritt (Ghost
In The Van), certe irriverenze alla Neko Case (The
Mess Love Made, ma se vogliamo anche le foto in topless nel booklet),
ma fondamentalmente tanto rispetto verso il mondo delle songwriter più classiche.
Prodotto da Brad Jones, uno bravo a sostenere le melodie con poco
senza mai sembrare tropo scarno (ne sanno qualcosa Hayes Carll, Josh Rouse o gli
Over The Rhine che hanno beneficiato dei suoi servigi), Transistor Corazon è il
classico prodotto indipendente della nuova roots-music, più intraprendente nella
confezione che nei risultati, e che cerca nella varietà di arrangiamenti la propria
versatilità (fiati, archi, cori, vibrafoni, non manca nulla). Le chicche dell'album
sono la messicaneggiante title-track (più o meno come se Joan Baez cantasse un
pezzo di Tom Russell), e le due cover, una If I Fell
dei Beatles resa autunnale da un malinconico intreccio di archi e chitarra
acustica (che è poi molto simile all'arrangiamento di Yesterday) e una sorprendente
That's What Makes You Strong di Jesse Winchester (era sul buon Gentleman
Of Leisure del 1999) corredata da fiati e un mood decisamente black. Per il resto
la penna della Greener piace anche se non va troppo oltre gli schemi di genere
(Always, Why), ma anche solo la partenza di Everybody
Wants Some (molto radiofonica) e la splendida Jackson
valgono l'acquisto di un'artista che ritroveremo sicuramente sulla nostra strada.