File Under:singer-songwriter,
folk rock di
Davide Albini (25/07/2012)
Copertina
dal sapore neo-classico e decisamente in contrasto con il suo contenuto cantautorale
per Under the Church, nuovo episodio del songwriter del Maryland
Tony Denikos. Already
Gone nel 2009 era stato il nostro primo incontro con l'Americana d'autore
di questo musicista dalla lunga gavetta sulla scena locale: collaborazioni illustri
impreziosivano quell'album, registrato a Nashville, spaziando sicure fra le diverse
anime della tradizione. Per diversi anni Denikos non aveva mai fatto il salto
di qualità al di fuori dei soliti circuiti folk indipendenti, suonando in piccoli
club della zona. Il suo primo tentativo discografico, non più giovanissimo, lo
copie nel 1999 grazie a Naked & Smiling, anche se l'album che lo colloca per la
prima volta nel novero del sound Americana è Time Tells Tales del 2003, lavoro
che riceve qualche passaggio radiofonico e lo fa conoscere anche in Europa. Per
bocca dello stesso Denikos, si tratta di una manciata di canzoni che prendono
spunto da autori centrali del folk americano quali John Prine, James McMurtry,
John Hiatt e Steve Earle.
Insomma, i soliti noti verrebbe da dire, ma
non si tratta di una scelta opportunistica: nel filone dei cosiddetti singer-songwriter
di ispirazione tradizionale è quasi una tappa forzata, offrendo un senso di appartenenza.
Already Gone, come detto, è la conquista più recente, con una produzione targata
Nashville e la partecipazione di musicisti dal curriculum pesante come Dave Jacques,
Dave Roe e Warner Hodges (Jason & The Scorchers). A questo giro Dekinos ha
ristretto il campo dei collaboratori, confermando però il chitarrista Gantt
Kushner come spalla ideale. Si è fatto soprattutto più introspettivo (se si
eccettuano la bluesy I Am What I Am e nel
finale Save Me dall'aroma quasi pop), volgendo
lo sguardo a suo dire fra le paure, i rimorsi, la solitudine degli anni che passano,
un tentativo di riavvolgere il nastro della vita sulle questioni più profonde
rappresentate degli affetti personali.
L'influenza sulla musica di Tony
Denikos & The Working Poor, così è stata ribattezzata la band, si è fatta sentire:
questa raccolta di ballate elettro-acustiche ha il passo elegante di un folksinger
sbucato dai lontani anni 70, con picchi in Under the
Church, nella malinconia del fiddle in No
Way Home (ricorda parecchio la dylaniana Blind Willie McTell...) o
fra le carezze di When the Morning Comes e
i tratti avvolgenti e soulful di Glimmer (ottimo
il lavoro del citato Gantt Kushner alle chitarre, ormai membro fisso dei The Working
Poor). Meno vivace del predecessore quindi, ma ancora di grana fina per chi ama
l'artigianato roots americano: se i nomi di John Prine (e magari dei più sfortunati
Jim Croce o Jesse Winchester) vi dicono qualcosa, concedetegli una chance.