Cantautore con influenze soul e rhythm'n'blues,
Nathan Graham arriva dalla gavetta, dal prestare la propria opera
a favore di altri, finché non ha scoperto che la sua voce e la sua capacità
di scrivere brani potevano essere usate a suo favore e piegate al suo
servizio. Nativo di Chicago, dove la “scuola” musicale è come un Phd a
Harvard, Graham è qui al suo primo disco solista. Chitarra cadenzata e
voce possente sono le prime caratteristiche che saltano all’occhio, ma
non è tutto qui: le canzoni hanno tiro, la band che lo segue (Ian Tsan
alla batteria, John Macneil al basso, Cody Messick alle chitarre, Michael
Maimone alle tastiere) è affiatata e c’è groove.
I primi due brani, Pride e Fake
Friends, fanno venire in mente il quasi omonimo Nathaniel Rateliff,
così come Somebody Else. In tutti e tre gli episodi l’organo e
il piano fanno un gran lavoro di riempimento del suono, peccato però per
la mancanza di fiati, che avrebbero sicuramente infiocchettato meglio
il prodotto finito. Le anime di Nathan sono comunque molteplici e ci sono
anche soulful ballads, che si avvicinano al primo Lenny Kravitz. Bell’esempio
è I Can’t Change it, lentone per chitarra e piano. Leggera e piacevolissima
Right One, un brano che potrebbe stare
bene nella scaletta di Diamonds on the Inside di Ben Harper, con
quel giusto equilibrio tra soul e rock. Il resto dell’album vira più sul
registro soft, con la conclusiva I’ll Get it Right che, con la
lap steel, ha tinte quasi country. Il tutto è stato prodotto da John Macneil,
dallo stesso Nathan Graham e da Stephen Shirk negli Shirk Studios di Chicago.
Le canzoni di Graham sono incentrate sulla condizione umana, parlano pentimento
e di conforto, parlano di amore e di perdita. Forse niente di particolarmente
nuovo, ma è quanto succede nelle vite di tutti noi, come una ruota infinita,
sempre uguale ma ogni volta diversa. Un revival tra soul e rock, con influenze
country e rhythm n’ blues, Nathan Graham si avvicina come voce e scrittura
ad un’altra giovane promessa di origine ugandese, Michael Kiwanuka, senza
però quel lato psichedelico e prog che contraddistingue il cantante inglese.
Graham è americano e si sente, dritto al punto, grandi doti vocali, ma
senza troppi fronzoli. Che alla fine è forse il modo migliore per far
arrivare la musica, attraverso le orecchie, al cuore della gente. Buona
la prima, ora attendiamo il seguito.