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Angelica Rockne
The Rose Society
[Loose music/ Goodfellas 2023]

Sulla rete: angelicarockne.com

File Under: cosmic country lady


di Fabio Cerbone (11/05/2023)

Attraversato da una cruda tenerezza nell’esposizione dei sentimenti e da una dolce malinconia pastorale in cui lasciarsi cullare all’ascolto, il secondo album della californiana Angelica Rockne sembra raccogliere il testimone di una lunga tradizione, quella che dalle albe luminose nel Laurel Canyon approda alle fragilità delle nuove muse del folk americano contemporaneo. Nel mezzo un mondo di suoni e parole che collocano questa autrice su uno sfondo del quale conosciamo ogni colore e tonalità, e basterebbe d’altronde riconoscerli nell’evocativa copertina.

C’è il deserto, il suo riflesso sull’anima, e laggiù il grande abbaglio della città, Los Angeles, luogo di tentazioni e piaceri nel quale Angelica afferma di essersi persa e ritrovata negli ultimi anni, ben cinque dal suo esordio Queen Of San Antonio, album che le valse le attenzioni della stampa internazionale (Uncut lo elesse disco Americana del mese) e le aprì le porte dei club musicali. Combattuta dal contrasto fra il disincanto di ciò che ha lasciato e la pienezza di ciò che ha guadagnato in questo tempo di attesa (anche un figlio e il nuovo ruolo di madre), la Rockne si accoda con personalità a una serie di voci femminili che hanno tratto simili lezioni dal passato: nelle confessioni al traino di una languida melodia in The Age of Voyeur o tra i riflessi elettro-acustici della stessa The Rose Society e The Distance is High vengono in mente le colleghe di etichetta Devin Tuel (del duo Native Harrow) e Courtney Marie Andrews, o meglio ancora la più eterea Alela Diane (Crystalline e Path of the Rose ne possiedono una analoga gracile bellezza).

Musiciste che intrecciano come Angelica il linguaggio di base del folk, certa Americana dai tratti psichedelici (qui lasciato emergere soprattutto nelle volute di Protection, Prayers and Vigilance) e parecchi languori pop d’autore. Nel caso di Angelica Rockne c’è un’educazione sentimentale trascorsa probabilmente sui dischi di Joni Mitchell, Byrds e Gram Parsons (girano anche alcuni video in rete che bene ne esplicitano l’influenza), anche se il nuovo corso inaugurato da The Rose Society, partito da uno studio di Nevada City nell’estate del 2021, mostra subito le maggiori ambizioni in fase di arrangiamento e produzione, affiancando ai collaboratori Jason Cirimele (chitarre e basso) e Cody Rhodes (batteria) le delicate coloriture di piano e organo di Patrick McGee, ma soprattutto il drappo di orchestrazioni e partiture per archi che spesso avvolgono le ballate di Angelica in un manto raffinato, lo stesso che in The Undoing e nella pianistica Ripe to Ruin, per arrivare alla chiusura con The Night Dreams You, inseguono melodie sottilmente retro ed avvolte da echi sixties.

Qualche volta l’impressione è che ci sia fin troppo compiacimento da parte dell’interprete e della musica stessa, un grado di sofisticazione che toglie un po’ della bellezza espressa nella prima parte del disco, ma nel paesaggio sonoro che esprime The Rose Society è racchiusa anche la ragione del suo fascino.


   


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