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Charles Wesley Godwin
Family Ties
[Big Loud Rec. 2023]

Sulla rete: charleswgodwin.com

File Under: (Country-) rock & radici


di Giuanfranco Callieri (06/11/2023)

Di questi tempi litigiosi e capaci di ragionare solo in antitesi, a intitolare un disco "legami di famiglia" si rischia di passare per simpatizzanti di QAnon, reazionari, ferventi omotransfobici, o peggio, di ricevere un tweet di approvazione da parte Giorgia Meloni. Per fortuna, però, Family Ties, terzo album di Charles Wesley Godwin da Morgantown, West Virginia, è molto più interessante dello spot Esselunga sulla pesca, e se vogliamo anche più sfaccettato e problematico. Non si tratta, infatti, di un’apologia in musica della famiglia tradizionale, ma di una serie di cartoline dal passato, di sequenze rievocate dalla memoria ancora relativamente giovane del loro "regista" (da poco trentenne), al quale interessa comporre un affresco in miniatura sulle radici operaie e contadine del suo stato di nascita oggi poverissimo, come altri luoghi d’America colpito in profondità dalla desertificazione post-industriale seguita alla scelta di de-carbonizzarne l’economia e rapidamente condannato a trasformarsi in un cimitero di capannoni e, appunto, famiglie, abbandonate a se stesse.

Per farlo, nonché per far emergere quel pizzico di carattere in più che Fabio Cerbone, recensendo il precedente How The Mighty Fall (2021), auspicava l’autore riuscisse prima o poi a tirar fuori, Godwin si è affidato alla generosità di una scaletta da 19 episodi dove, pur non essendo tutti i brani allo stesso livello (altrimenti parleremmo del disco dell’anno), non mancano suggestioni e visioni, colpi d’ala e passaggi memorabili. Registrato in North Carolina sotto la supervisione del chitarrista Al Torrence, Family Ties oscilla tra la perlustrazione delle radici e i malinconici paesaggi Americana attraversati, in passato, da Ryan Adams, e in tempi più recenti dal collega Zach Bryan. Rispetto a quest’ultimo, che molto aveva promesso nell’ambizioso American Heartbreak (2022) ma ancora deve dimostrare di saper tenere fede alla parola data, Godwin manifesta comunque un’altra concretezza, un ruvido spirito heartland riscontrabile sia nel gesto rockista di una Two Weeks Gone imparentata con Chris Knight sia nello scrosciare elettrico di una Cue Country Roads dai sapori sudisti.

Di tanto in tanto si affaccia sul programma anche l’ombra di Bruce Springsteen, e se l’omaggio a State Trooper dell’acustica e sulfurea 10-38 non sorprende più nessuno, perché lo stupore derivante dall’intreccio tra la nuda solitudine di una sei corde stonata con le atmosfere dei Suicide si è consumato ormai da tempo, la canzone resta nondimeno maiuscola. Malgrado Godwin rimanga concentrato, soprattutto nell’ideale prima parte del disco, sulle cadenze non troppo movimentate di un dimesso, bucolico country-rock venato di folk e roots, le sue qualità d’autore assicurano al ritratto paterno dell’asciutta Miner Imperfection, agli effetti "ambientali" della roboante The Flood, ai violini old-timey dell’elegiaca All Again o all’incedere semiacustico delle varie Skyline Blues e Dance In Rain la facoltà di non cedere alla monotonia. Nell’intensa West Of Lonesome è evidente l’influenza del citato Bryan, nel soul per pianoforte di Soul Like Mine quella di Marc Cohn e nell’inno stentoreo di Willing And Able, a dirla tutta, c’è qualche ammiccamento radiofonico di troppo.

Ma anche quando va a rispolverare la classica Take Me Home, Country Roads di John Denver, per darne una versione corale e toccante, Godwin non lo fa con l’intenzione di adoperare la scorciatoia della stucchevolezza, bensì per celebrare a modo suo l’America rurale degli ultimi e dei disperati, di chi non possiede né istruzione né garanzie e fa i conti con una marginalità economica e culturale sul punto di cronicizzarsi per sempre. Orgoglio localista da contrapporre alle paure indotte dalla globalizzazione? Può darsi. Ma una volta tanto è bello sintonizzarsi sulle frequenze di un mondo in cui non solo i Family Ties di Charles Wesley Godwin, ma tutti gli stretti legami di una classe lavoratrice ancora viva, risuonano con simile freschezza.


    


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