Dopo quattro anni dall’ultimo disco intitolato Ink,
Dust, And Luck, i Brothers Comatose si ripropongono con il
nuovo lavoro – il quinto della loro discografia - Turning Up The Ground,
uscito negli ultimi giorni di luglio. Il gruppo californiano - composto
dai fratelli Ben e Alex Morrison (il primo chitarra, il secondo banjo,
entrambi voci del gruppo), Philip Brezina al violino, Steve Height al
basso, Greg Fleischut al mandolino e voce - rilancia la solita formula
che li rese noti in passato e che contraddistingue anche questo album:
bluegrass - ma anche Americana - rivisitato e modernizzato ma senza alcuna
forma di elettricità, tutto in acustico (parlare di rock'n'roll, come
si trova scritto da qualche parte online a proposito della loro musica,
mi sembra un poco azzardato e fuori contesto, sebbene sia difficile definire
il genere, componente acustica o meno).
Turning Up The Ground è un album discreto; in Working For Somebody
Else sono le due chitarre a strutturare il brano, con il violino di
Brezina sempre pronto a inserirsi arricchendo ulteriormente il pezzo (strumento,
del resto, protagonista in buona parte delle canzoni del disco), e il
procedere acustico, tra banjo, mandolini, chitarre e violini, più o meno
si rivela sempre uguale a sé stesso, con qualche variazione in quegli
episodi (Are You Waiting) probabilmente concepiti con la finalità
di essere suonati di fronte a un pubblico (pubblico che, a quanto pare,
li adora, perché, come visto in tanti di questi artisti, hanno sempre
dei gruppi ragguardevoli di fan a loro strettamente legati e pronti a
seguirli ovunque), tra battimani, cori, ecc…
Hole In My Pocket è uno dei brani migliori,
quello più divertente se vogliamo, tra il finale botta e risposta tra
il cantante e il coro e l’inizio a cappella, con un testo semplice sull’indisponibilità
economica o su come, una volta arrivati i soldi, tendenzialmente questi
se ne vadano via in fretta; gradevole. Anche Gone
Gone Gone non dispiace con la sua coda finale, dove il banjo
fa un buon lavoro, che segna un piccolo cambio di marcia rispetto alla
struttura ripetitiva di altri brani presenti nel disco (soprattutto le
ballate e i “lenti” dove i ritmi si smorzano e la noia alla lunga la vince:
come in That Shit Ain’t Funny o in Too Many Places mentre
Eighteen Years è un’eccezione).
Il nuovo lavoro dei Brothers Comatose è, mi ripeto, discreto: ha dei momenti
buoni e altri meno convincenti, sicuramente apprezzabile da chi già li
conosce, non consigliato a chi non interessa il genere.