Texano di San Antonio, autore e produttore, ma potremmo
definirlo meglio come una sorta di coalizzatore di idee e di musicisti,
Garrett T. Capps è un culto cittadino che meriterebbe un pubblico
più ampio, di album in album rivelatosi tra i più interessanti talenti
emersi dalla scena locale. Quando non è occupato a registrare dischi (abbondanti,
in osservanza a una certa prolificità tipica di questi anni) e a organizzare
tour, lo potete trovare dietro il bancone del bar, The Lonesome Rose,
che gestisce personalmente nella sua città natale. Più probabile però
che sia occupato a immaginare paesaggi americani, tenendo insieme tradizione
e futuro.
Se infatti le sue radici nella country music e nel rock’n’roll del luogo
sono fuori discussione, con collaborazioni che nel tempo lo hanno messo
al fianco di leggende quali Augie Meyers (Sir Douglas Quintet) e Lloyd
Maines (Joe Ely, Terry Alllen), la sua intenzione è di scuotere l’albero
dalle fondamenta e proiettare il linguaggio dell’honky tonk elettrico
verso le rotte dello spazio, in una specie di avventura cosmica e psichedelica
dove People Are Beutiful si rivela come il lavoro più eccentrico
e interessante della sua copiosa produzione. Inciso lo scorso dicembre
al Sonic Ranch studio, confini con il Messico, il disco, di assai difficile
reperibilità purtroppo, chiama a raccolta i NASA Country, band
così ribattezzata in evocazione di altri mondi alieni e astronavi atterrate
nel deserto, secondo suggestioni tutte e solo americane.
L’effetto si riverbera su otto brani, divisi equamente in due facciate,
dove le chitarre e la lap steel di Torin Metz dialogano con i moduli al
sintetizzatore di Justin Boyd, mentre la formazione oscilla fra country,
psichedelia e strati di riverberi e kraut rock. Vi sembra un pasticcio?
Provate con gli stridori e il riff hard blues di Rip
Out of the Darkness, oppure con i feedback e i suoni da ballata
texana dilatata di Within It All, due fra i momenti più stranianti
della raccolta insieme a una Time Will Tell che
è un autentico viaggio rock interstellare, con naturali agganci a certa
febbre lisergica dei sixties. Un retrogusto quest’ultimo che conferma
l’intelligente citazionismo di Garett T. Capps, senza mai scadere in una
emulazione da purista: la band lo assseconda, sia quando prende la strada
del country spaziale di Gettin’ Better, sia quando il mood della
scrittura si fa più introspettivo ed espanso in Happen Anytime
e A Better Place, cercando di scacciare i fantasmi della pandemia
con un positivo intreccio di Byrds e neo-psichedelia che sarebbe piaciuta
tanto ai Rain Parade.
Il finale di partita è più convulso e travolgente, proprio con
People Are Beautiful, un messaggio per gli alieni da criptare
nelle distanze siderali dell’universo: cosmic honky tonk, chiamatelo come
volete, ma qui i NASA Country sembrano invitare i Dream Syndicate sulla
loro navicella spaziale, planando poi nella polvere del deserto texano.