Daniel Norgren
Wooh Dang

[Superpuma/ Audiglobe 2019]

superpumarecords.com

File Under: Swedish Americana

di Fabio Cerbone (22/07/2019)

La cittadina è Boras, sessantamila abitanti a nord di Stoccolma: ci trovate un importante sito industriale del colosso delle telecomuncazioni Ericsson, una squadra di calcio titolata a livello nazionale, ma dubito che abbiate mai sentito nominare di un suo “illustre” musicista, Daniel Norgren. Wooh Dang è un disco che sbuca dal nulla, con una copertina curiosa e un po’ naif, e dieci tracce che potrebbero appartenere ai paesaggi dell’Americana più rurale e immalinconita. Il sapore è quello di un folk dagli orizzonti desertici, tra ballate insaporite di country rock che si colorano di fiammate gospel, di struggente spleen per pianoforte e armonica, con i tormenti di Neil Young nelle ossa e la stralunata poesia di Howe Gelb nella testa.

Tutto questo per affermare semplicemente che Daniel Norgren è uno di quei piaceri che ancora riescono a materializzarsi scrivendo di musica ogni giorno, e il suo Wooh Dang un piccolo, misconosciuto disco che fareste bene a segnarvi in agenda se amate la desolazione del rock agreste, le registrazioni che mantengono un profumo casalingo e impreciso, i personaggi che appaiono subito fuori moda e fuori tempo. Norgren incide dal 2007, vanta una discografia di tutto rispetto che tocca il numero di otto album e un interesse circoscritto al giro dei festival indipendenti europei, ma soprattutto un’idea artistica che prevede l’isolamento, l’autoproduzione (sua la strampalata sigla della Superpuma records) e più in generale un’attitudine al "fai da te" che non implica necessariamente bassa fedeltà o peggio lavori raffazzonati. E basterebbe d’altronde questo gruzzolo di canzoni, incise rigorosamente in analogico su sedici piste con una parca sezione ritmica (l’amico di vecchia data Anders Grahn al basso) e qualche imbeccata di Andreas Filipsson alle chitarre e banjo, per rendersene conto.

Ciò che resta è manipolato da Norgren in persona, che introduce questo ciclo di sradicate american song in terra svedese con il fluttuare psichedelico di Blue Sky Moon, solo un diversivo strumentale, che tuttavia sembra introdurre la colonna sonora di un film immaginario, prima che le note diafane di basso e pianoforte aprano la melodia accorata e straziante di The Flow, da qualche parte dentro il buio “younghiano” di Tonight’s the Night. Attenzione però, perché Daniel Norgren e soci sono pronti a deviare con i tremori vintage blues di di Dandelion Time, sax e piano boogie che impazza manco fossimo in una festicciola organizzata da Tom Waits. The Power e The Glad sono piccoli inni di gioia e intimità quotidiane per pianoforte, che si alternano con i commoventi sprazzi di luce folk rock, un po’ settantesca e dai fremiti sudisti di Rolling Rolling Rolling e Let Love Run the Game (un omaggio nascosto al grande folksinger Jackson C Frank? Ci piace pensarlo...).

The Day That’s Just Begun
, dolcissima melodia infantile abbozzata al piano con contorno di soffi d’armonica, è ancora attraversata dal fantasma di Neil Young, epoca After the Gold Rush potremmo azzardare, mentre il finale scivola teneramente tra i rintocchi del walzer country di When I Hold You in My Arms. Wooh Dang, la title track, è un accenno di un minuto e ventidue secondi che serve far scorrere i titoli di coda di un disco senza frastuoni, pretese di innovazione o presunte rivoluzioni. Ci sono soltanto canzoni scritte con l’anima in mano, come piace a noi.


    


<Credits>