John Kilzer
Scars

[Archer Records 2019]

archer-records.com

File Under: soulful rocker

di Luca Volpe (23/01/2019)

Questa è una storia dei giorni nostri: gli storici la definiranno modello per la nostra epoca controversa. John Kilzer è una gemma del rock di Memphis. Atleta, laureato in lettere, musicista, ottiene contratto con la Geffen nel 1986, la quale lo fornì di un gruppo di turnisti e produttori (fra cui sua maestà George Marino) così nel 1988 l'esordio Memory in the Making marchiò la sua carriera. Era l'epoca in cui bluesman come Robin Trower e Jeff Healey si lasciavano tentare dai suoni dell'AOR, ma a ciò Kilzer aggiungeva una vena cantautorale. Fatalmente venne accostato a Bryan Adams, anche per via d'una voce simile ma più calda del canadese. Il disco non sfondò. Non importava che la principessa Rosanne Cash avesse eseguito una sua canzone, i discografici sono talvolta geni, talaltra idioti: mollato dalla Geffen, un Kilzer avvilito s'eclissò dall'industria, riparò nel Regno Unito e lì perfezionò i suoi studi. Tornato in patria, divenne pastore metodista e terapeuta con i dannati della droga, ma il demone del rock tornò a bussare alla sua porta e nel 2012 un nuovo disco uscì a suo nome. Brutto ma pieno di buona volontà, ebbe un seguito nel decente Hide Away del 2015.

La voce delicatamente arrochita è maturata, John Kilzer la sa usare bene per raccontare storie vere. Niente più brani scattanti, molti legami con le ballate del periodo classico, per Scars ha trovato Matt Ross-Spang produttore (lavori con Drive-by truckers, Chris Isaak, Lucero, John Prine). A una chitarra Steve Selvidge, alle tastiere Rick Steff (entrambi del giro Lucero), alla batteria un turnista dell'ambiente soul, Steve Potts, e George Splippick. Il modo di fare dischi del nostro è intelligente: ha vissuto la fase finale dell’epoca d’oro, sa come dovrebbero andare le cose, e da anni vede la decadenza, quindi sa che deve gestire il talento con pochi soldi, perciò da un lato tanta sincerità, dall’altro brani arrangiati nella rotta dell'equilibrio fra limatura ed intensità. Ross-Spang s'è adattato all’assenza degli anni Novanta, che non han toccato Kilzer. I questi brani riusciti, i richiami abbondano, prima di tutto il Dylan più blues. Kilzer marcia nella direzione del Bob Seger di metà anni Settanta ma a modo proprio, e questo è la cifra del disco, che ripiega sul passato ma senza i patetismi del rock retrò(grado) e con un fantasma che verrà svelato.

Flat Bed Truck è un fine e sodo intrico che farebbe invidia a ;Mark Knopfler, ma nell'insieme si può scovare più d'un sorriso rivolto a Sunny Afternoon dei Kinks. Hello Heart segue uno sviluppo simile, una lieve ballata notturna suonata in punta di dita. Il gioco dei cenni è ancora più chiaro in Woods of Love (Sowing the seeds of love dei Tears for fears) per un brano scorato che snobba il ritornello ma ama spostare di colpo gli accenti in piccoli cambi di tono, compreso un tassello cupissimo inserito più volte. Time è mesta, piovosa: comincia con voce e tastiere, ma poco a poco gli altri strumenti erigono una trama sonora potente. Scars è simile, ma col sorriso amaro che non punta a niente e sembra perdersi in esso. It è un gioco fra l'epoca classica del nostro e l'attuale, un brano di matrice heartland che avrebbe fatto piacere a Tom Petty (e forse lo fa, l'altro richiamo forte di Kilzer), con una parte fischiata più volte nel segno dell'ironia. E sempre nel segno di Petty, Dark Highway poteva uscire da un suo disco ma con il tono da vecchio prete sornione del nostro. Quasi potesse essere un inno, Memphis Town ammicca al miglior Elton John, ma in direzione più soul. Rope the Moon chiude il disco in maniera impeccabile, con un episodio chiaramente notturno.

Il brano manifesto è però la superba The American Blues, in cui anche il video dice più ammiccando a cosa manca che non a quel che c'è: un brano che dice a cosa tornare, cosa è stato tradito, dove Dylan esplode, con tutti i riferimenti al fantasma dell'AOR sparsi nel disco che qui sono accennati, in un inno in cui l'arte del saliscendi di Kilzer raggiunge la perfezione della potenza dei sentimenti mediata dall'uso dei mezzi a disposizione. Forza John, speriamo che il vento cambi per tutti - I sing a song for you, I say a prey for you, i Do a dance for you...the american Blues -.


    


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