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singer-singwriter, country rock di
Davide Albini (31/01/2015)
Spenderei
volentieri un'ideale mezza stella in più nel giudizio soltanto per il titolo,
uno dei migliori che mi sia capitato di leggere quest'anno: You Get So Alone
At Times That it Just Makes Sense, frase rubata al vecchio "compagno di
sbronze" Charles Bukowski. Si tratta dell'esordio solista di un songwriter inglese
di Bedford, dal nome quasi impronunciabile, Luke Tuchscherer (dal suo sito
di premurano di specificare: si dice Tuck-Shearer). Frutto di una decina di giorni
di registrazioni, ma spalmate nell'arco di ben tre anni, è la classica raccolta
nella quale l'autore fa spazio alle canzoni più personali della sua produzione,
evidentemente non ritenendole adatte al repertorio della principale band di riferimento.
Tuchscherer è infatti il leader dei Whybirds, formazione inglese con radici che
affondano nel suono alternative-country e folk rock d'oltreoceano e un trittico
di incisioni inaugurate nel 2008 grazie all'omonimo esordio, al quale si sono
aggiunti anche un disco dal vivo e un ep.
Poco conosciuti fuori dei circuiti
indipendenti nazionali, si sono però guadagnati una certa stima in Europa e anche
questo nuovo lavoro di Luke ha già ricevuto il plauso della stampa roots di settore.
Accompagnato dal quartetto The Penny Dreadfuls, che lo sta seguendo in un tour
di supporto durante tutto l'inverno, Tuchscherer accresce quella vivace scena
Americana in terra inglese che in questi anni ci ha proposto ciclicamente diversi
artisti interessanti, tra cui cito volentieri Wynntown Marshalls, rivelazione
nella scorsa stagione. Il sound di You Get So Alone At Times That it Just Makes
è meno elettrico e più orientato a certo country d'autore, alle atmosfere classiche
dei troubadour texani e alla Nashville dei cosidetti "outlaws". Il dialogo tra
acustica e dobro in Lords Knows I'm a Bad Man
suggerisce paesaggi rurali, mentre il ritmo honky tonk di When Day Is Done
e la dolce pedal steel in Three Long Days
sono puro distillato alternative country.
La voce si stende gentile e
malinconica come richiede il genere, le ballate hanno il sapore agrodolce e solitario
dei maestri come Townes Van Zandt e la musica possiede quella accogliente atmosfera
che ha fatto la fortuna di questo stile (One of Us,
tra le migliori, melodia triste accentuata dall'intreccio fra organo e banjo,
o ancora la gemella Hold On). Certo, la premessa per album di questo tenore
è il loro immergersi nella tradizione, senza invenzioni e nuove frontiere da epslorare,
ma con grande attenzione all'anima della canzone. Luke Tuchscherer dimostra una
conoscenza della materia che è persino superiore a molti suoi colleghi americani:
la cadenzata Women, il senso di solitudine
che pervade To Make It Worse I'm Falling in Love Again e Darling,
It's Just Too Hard To Love, non sono lontane in fondo dagli insegnamenti
del giovane Jay Farrar, nella sua parabola dagli Uncle Tupelo ai Son Volt. Uno
di quei dischi di genere, del tutto marginali, eppure di cui potreste anche innamorarvi
perdutamente.