Verily So -Verily
So [Inconsapevole
Records 2011] Desert Motel- Yarn
[Sofa
Recs 2011]
Esordio molto interessante quello dei toscani Verily So, trio del tutto
atipico che ruota attorno alla voce di Marialaura Specchia, chitarrista, all'occorrenza
batterista alla Moe Tucker e cantante dotata di una voce traditrice, di quelle
che in un primo momento appaiono soavi quanto una Hope Sandoval spiritata, ma
che acquisiscono spesso i toni spigolosi di una certa Pj Harvey. La seguono Simone
Stefanini e Luca Dalpiaz, chitarra e basso e all'occorrenza voce. Il trio attinge
a piene mani in un dark-folk che passa dalle parti di Mark Lanegan (Ballad,
cantata a due voci, sembra proprio uno dei suoi brani in compagnia di Isobel Campbell)
a echi di Mazzy Star (la bella e suggestiva apertura di Wax
Mask). Innamorati delle elettriche un po' acide da Paisley Underground
anni 80, unite a molto del folk indipendente di quet'ultimo decennio, i tre offrono
dieci brani già molto maturi e convincenti, soprattutto nelle costruzioni armoniche
(ascoltate il crescendo di Guns On Fire o
il bel finale acustico di 15 Years). Tra i
loro grandi pregi anche quello di non indugiare troppo con tempi lunghi, permettendo
anche a brani dall'incedere lento e ipnotico come When
I End And You Start di non perdersi troppo prima dell'esplosione finale,
e di saper tenere i ritmi giusti di un rock che a volte appare persino legato
alla new wave di fine anni 70 (Will You Marry Me).
Manca ancora una produzione che riesca a far sembrare tutti i diversi elementi
in campo leggermente meno slegati, ma sul suono e sulla sostanza di questo disco
ci si può già scommettere. (7) (Nicola
Gervasini)
La
prima traccia, Paths, segna già il
passaggio di stile: ripresa dal loro ep d'esordio del 2007, Out for the Weekend,
la canzone cambia pelle e viene arrangiata in una nuova veste, che suona come
una sorta di manifesto per l'intero Yarn. Infatti, dalla pasta acustica,
di ispirazione indie folk e alternative country che avevamo rintracciato in quel
disco, oggi i Desert Motel si spostano sul solco di un rock figlio della
scena alternativa americana degli anni '90, tra ballate che si colorano di un
pop indolente e risaltano l'impasto delle nervose chitarre elettriche. Insomma,
più figli di Pavement, Teenage Fanclub e in parte dei Wilco, se vogliamo
un riferimento attuale, piuttosto che discepoli della provincia roots. Un salto
avvenuto in maniera del tutto naturale per Cristiano Pizzuti (principale voce
della band di Aprilia) e il resto del gruppo, se è vero che la maturità
complessiva del disco esce allo scoperto, offrendo un senso di solida omogeneità.
Ciò non toglie che vi sia ancora da aggiustare il tiro, sia in fase di
produzione, sia soprattutto in quella compositiva, che tende a volte ad adagiarsi
troppo sul canto pigro di Pizzuti (stilisticamente adatto come un guanto, ma a
tratti ancora un po' da rodare) e sulle trame indie pop, senza uscire da soluzioni
già sentite. Ad ogni modo la grana melodica e un po' sognante di
Bright Side, Valetine's Gone e
Flowers, che sembrano persino guardare con
più attenzione alla lezione giunta in questi decenni della sponda inglese,
o ancora l'avvolgente struttura di Brugge, Belgium,
quintessenza del linguaggio indie rock delle passate stagioni, rappresentano nel
complesso il credibile aggiustamento di rotta compiuto della band. La quale chiude
l'avventura di Yarn ritrovando la matrice folk in Let
It Shine, tenue momento acustico accompagnato da un leggero soffio
di archi. (6.5) (Fabio
Cerbone)