Stoop
Stoopid
Monkeys in the House
[Prismo Paco 2008]
7
The
Softone These
Days Are Blue
[Awful_Bliss 2008]
6.5
The Groovers Revolution
[Fandango/ Audioglobe 2008]
6
Restando
agganciati al treno di un rock che sappia suonare classico ma al tempo
stesso sottilmente legato alle regole dell'indie rock contemporaneo, molto
interessane si fa la proposta degli emiliani Stoop. Il loro esordio
Stoopid Monkeys in the House riesce nella difficile mediazione
di cui sopra, soprattutto reggendosi sulla profondità degli arrangiamenti
e la ricchezza di idee che fanno confluire nelle loro canzoni mille influssi,
qualcosa che attraversa gli ultimi trent'anni di rock'n'roll incrociando
new wave, alternative rock, folk a bassa fedeltà, persino reminiscenze
western alla Calexico. Qualcosa che li colloca idealmente fra Wilco, Beck
e i Cake, se proprio vogliamo scomodare affinità contemporanee, ma con
una personalità ben definita. Costruito su ritmi sghembi che passano da
radici garage a ballate più surreali, Stoopid Monkeys in the House non
è immediato, ma svela strada facendo le sue sfaccettature, merito di un
quartetto (Diego Bertani alle chitarre e voce, Carlo Enrico Pinna alle
chitarre e synth, Fabrizio Bertani alla batteria, Marco Ponzi al basso)
che si apre a diversi interventi, inglobando nel sound tromba, trombone
e steel guitar. Difficile catturare un momento specifico, perché Stoopid
Monkeys in the House lavora dall'interno del ritmo e scava nelle trame
di un rock intelligente e pieno di richiami: Fire
On My Cheap Sunburn potrebbe persino farli passare per revivalisti
delle prima onda post punk, ma poi arivano Sleeping
Awake, la convulsa Chupacabras & Fries,
il folk stralunato di Garbage In Space e
della bellissima Lesson#2 a scompaginare
le certezze. Qualcuno si è già accorto di loro (premiati al Diesel-U-Music-Awards
in Inghilterra da Ron Wood in persona e vincitori dell'Heineken Jammin'
Contest nel 2005), ma pare ormai che oggi non bastino neppure i santi
in paradiso per imporsi con la sola qualità della propria musica. Da tenere
d'occhio.
(Fabio Cerbone)
www.myspace.com/stoopmusic
Hanno
dimostrato grande coraggio i napoletani Softone nel produrre questo
These Days Are Blue: avventurarsi nel difficile e affollato
terreno dell' indie-folk internazionale è impresa per pochi nelle nostre
terre, soprattutto in un momento in cui il cosìdetto '"indie italiano"
non anglofono sta vivendo una fase di fermento tale da essere infinitamente
più remunerativo in termini di consensi e notorietà. Loro invece scelgono
l'ardua via di coniugare i Beatles più maccartiani (Hello
and Say Goodbye, che vede la partecipazione del siriano-statunitense
Faris Nourallah) con il minimalismo sonoro di tutta la scena indipendente
recente, di mischiare archi e barocchismi europei (Promises)
con i tentativi più sperimentali del "mondo roots" più progressivo (The
Light potrebbe uscire dal cappello dei Wilco, All
My Days sa di un Howe Gelb particolarmente depresso). Al cantante
(e autore di tutti brani) Giovanni Vicinanza si potrebbe dare anche
del follemente pretenzioso, e forse quando in Having
A Coffee cerca la perfetta pop-song uggiosa che non riesce
più ai Coldplay, sopravvaluta le proprie forze, così come a volte esagera
nel calcare l'effetto notturno della propria musica (Close
Your Eyes). Ma per uscire soddisfatti dalle trame slow-core
di Dear Mercy non serve dover usare
il fastidioso preambolo "bravi…per essere degli italiani", così come stanno
in piedi da sole la bluesata From The Backyard
o la semplice folk-song di You Could Change My
Life. Vicinanza, per evitare scivoloni nel provincialismo,
ha voluto registrare il disco negli Stati Uniti, lontano dalle trappole
di una dizione inglese maccheronica, e relegando all'azzurrino della copertina
l'unico possibile riferimento alle loro origini partenopee. Non sappiamo
se questo basterà a farli uscire dai nostri confini, sicuramente è sufficiente
a farli mettere nella nostra serra di rose che potrebbero fiorire con
il tempo.
(Nicola Gervasini)
www.myspace.com/thesoftone
Sottotitolato
non a caso A handful of songs about our times vol.2, Revolution
si riallaccia dunque concretamente al precedente
lavoro dei Groovers. Innanzi tutto lo fa tematicamente,
provando una volta di più a spiattellare in faccia la rabbia, le frustrazioni
ma anche le speranze degli esclusi e soprattutto di una famigerata "classe
operaia" che nessuno vorrebbe più vedere tra i piedi perchè scomoda
(Old Rebel Tune). In seconda battuta
lo fa musicalmente, visto che il predecessore decretò una svolta artistica
importante per il gruppo di Michele Anelli, orgogliosamente in
strada dal 1989, come recita anche la dicitura sul retro del nuovo cd.
Allora si scomodarono interessanti accostamenti con l'estetica lo-fi di
certo indie rock americano di oggi, un suono che non rinnegava il passato
fieramente "operaio" della band, ma rivisto e ampliato anche alla luce
della fertile collaborazione con Evasio Muraro (Settore Out). Stabilmente
assestati nella formazione a quattro con il rientro del membro storico
Paolo Montanari (tastiere) e Massimiliano Ferraro (batteria), i Groovers
di Revolution sembrano fare un passo indietro per compierne in realtà
uno in avanti. Riacquistato infatti un timbro garage rock più acceso,
che sembra rispolverare i loro esordi, la band propone un suono più cupo
e densamente elettrico, che tuttavia funziona solo a tratti e sembra sfilacciarsi
un poco nel mediare le due anime. Ineccepibile la voglia di muoversi dentro
la propria storia senza ripetersi, ma se il sinuoso movimento di Gimme
a Revolution riconduce immediatamente al recente passato, alcune
vie di mezzo quali Workin' Days, No
Time to Lose, The Fire
appaiono desiderose di una messa fuoco, anche nell'interpretazione vocale
di Michele Anelli (che appare decisamente in affanno soprattutto in Sometimes).
Meglio dunque abbracciare platealmente il battito del rock'n'roll con
Tell me e
This Guitar, già pronte ad una possibile esplosione dal vivo.
I Groovers avevano probabilmente voglia di riportare al centro le chitarre
così come le loro radici rock, sono rimasti a metà del guado.
(Fabio Cerbone)
www.thegroovers.net
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