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  Satellite Inn
Satellite Inn
[Tara Tapes 2024]

Sulla rete: satelliteinn99.bandcamp.com

File Under: alt-country pioneers


di Fabio Cerbone (29/06/2024)

Molti hanno provato a tradurre un certo suono americano da "provincia rock" alle nostre latitudini, pochi lo hanno fatto con l’intensità e l’aderenza al modello di riferimento come Stiv Cantarelli. A maggior ragione adesso, che si presenta l’occasione di rispolverare la sigla Satellite Inn, trio che aveva aperto un lungo vagabondaggio tra il suono più crudo dell’allternative country, in quegli anni Novanta che vedevano il genere risplendere di mille protagonisti. C’erano anche i Satellite Inn, che superate diffidenze e distanze approdavano direttamente negli Stati Uniti, pubblicando quel Cold Morning Songs (1998) che faceva parlare di sé nel sottobosco delle uscite indipendenti, soprattutto perché pubblicato, così vuole la storia curiosa e un po’ sfortunata della band, da quella MoodFood Records che era stata la stessa etichetta dei Whiskeytown di Ryan Adams.

Mentre questi ultimi prendevano il largo per il loro epocale esordio su major, Strangers Almanac, i Satellite Inn lavoravano nell’ombra e affrontavano un tour americano, portando in giro con credibilità le loro canzoni, anche da “intrusi” italiani. Va da sé che i fatti presero un’altra piega e i Satellite Inn non acciuffarono mai il loro momento di gloria, anche se Stiv Cantarelli ha continuato con tenacia e qualità a dimostrare il suo talento per tutto un mondo fatto di rock’n’roll spigoloso, sfuriate garage e ballate folk desolate, tra album solisti incisi insieme ai Richmond Fontaine, e nuove avventure discografiche con The Silent Strangers e The ACC.

È con una certa sorpresa dunque che riaffiora la vicenda dei Satellite Inn, riuniti con i membri originali Antonio Perugini (batteria) e Fabrizio Gramellini (basso) per offrire nove brani che rinnovano quella tensione apra e quella malinconia tipica del gesto alternative country, così come fu espresso nella sua forma migliore. Canzoni nate durante il periodo del “ritiro” da pandemia, qualche nota al piano (nuovo strumento per Cantarelli), il resto guidato da chitarre abrasive e solide radici piantate nel terreno dell’indie rock americano: parte così Bury the Ashes, che sembra il risultato di una (riuscita) session tra i primi Rem di Murmur e naturalmente tutto quello che arrivò dopo l’onda lunga degli Uncle Tupelo.

Registrato con tutti gli angoli in evidenza, come si conviene al genere, l’omonimo Satellite Inn mette in mostra le sue ispirazioni, e non nasconde una storia personale che proprio per quanto espresso all’epoca non può essere affatto tacciata di imitazione, o di sedersi a tavola con colpevole ritardo. Queste canzoni affondano in una biografia che arriva da lontano e da lì riparte come nulla fosse: Two Old Brothers ha dentro di sé il suono dell’America dei 90s, Sam esplode con quella ruvidezza che era il segno dei primi Uncle Tupelo, Going to Wilmington possiede il passo arrembante del cow-punk, in una linea che riporta indietro fino ai giorni dei Green On Red.

La voce asprigna e imperfetta di Cantarelli è quello che richiede il suono stesso dei Satellite Inn, tra stridori elettrici e momenti di spleen elettro-acustico che ricordano per forza di cose i citati Richmond Fontaine, come accade nell’amara dolcezza alt-country di Carry On, Benjamin (alla lap steel ospite Roberto Villa), o nel suono più rarefatto di Wayfaring Angel, pronta però a esplodere nella coda finale, in un susseguirsi di vuoti e pieni che emergono anche nella latenza blues di Happy to Survive e in The Dead Believers, quintessenza, potremmo affermare, di un suono che abbiamo amato, riflesso in band e songwriter che hanno descritto paesaggi e sensazioni legati a territori tanto dell’anima quanto concretamente reali. La riprova è il commiato finale dei Satellite Inn, quando One Last Look and I’m Gone dilata l’ambiente con acustica e pianoforte e rende la musica del trio più onirica e sospesa.

Un bel ritorno, e una seconda occasione, quasi dovuta, per una band che non ha perso un briciolo della sua identità musicale.


 


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