“Il mio incontro con il blues è avvenuto guardando
il film “The Last Waltz”, alla fine degli anni Settanta”. Le parole
sono di Fabrizio Poggi, cantante, armonicista, compositore con
poco bisogno di presentazioni; il riferimento, oltre che a un palco
storico, è alla performance di Muddy Waters e al suono dell’armonica
di Paul Butterfield, punti essenziali della pellicola. Forse non è un
caso che, tanti anni dopo, lo stesso Fabrizio si sia ritrovato su quel
palco, forse ci dev’essere un filo conduttore tra quel film e la collaborazione
con Garth Hudson, eroe tanto amato e ovviamente colonna di The Band.
Il filo magari sta semplicemente nella passione riversata in un piccolo
strumento che l’artista di Voghera ha contribuito a rendere così grande,
facendolo uscire dai rigidi confini di una nicchia di stile e di genere.
Fatto sta che da quel lontano decennio il musicista si è dedicato al
blues approfondendo, scrivendo e collaborando con i più grandi, da Guy
Davis a Eric Bibb, Bob Margolin, Otis Taylor, costruendo parallelamente
una carriera solista, con o senza i Chicken Mambo, arrivando a lambire
un Grammy, “secondo solo agli Stones”. I capitoli della sua corposa
discografia, unitamente a opere letterarie quali L’armonica a bocca:
il violino dei poveri e Angeli Perduti del Mississippi, rendono
perfettamente conto del livello raggiunto in senso emozionale e tecnico;
a tal proposito e come esempio basterebbe ascoltare, relativamente a
questo Basement Blues, l’assolo in Black
Coffee o il lavoro nella dixoniana Little
Red Rooster, entrambe con Davis dal vivo nel 2014; ogni singola
nota, scelta, centellinata, sembra contenere un’infinita gamma di espressioni,
come fossero altrettante note.
Non è poco per un personaggio rimasto così legato al messaggio originario,
ci dev’essere un legame tra quei “basement tapes” e il titolo del nuovo
disco, ancora così verace da riuscire a varcare confini impensabili
fino a qualche decennio fa. Quelle che compongono l’album sono tutte
canzoni facenti parte della storia del blues e di Fabrizio stesso, brani
ripresi da un cassetto dei sogni pieno di outtakes, registrazioni dal
vivo, prove di studio, insomma tutto il necessaire per un ennesimo viaggio
nell’universo delle dodici battute. Cose come il tradizionale John
The Revelator (insieme al menzionato Garth Hudson, outtake da Mercy
del 2008), l’articolata Your Light e Up Above My Head
(dalla penna di Rosetta Tharpe) con Ronnie Earl, la splendida The
Soul Of A Man (Blind Willie Johnson), See That My Graveyard
Is Kept Clean (“forse il più bel blues di sempre” cit.), la bellissima
e malinconica Blues For Charlie o
la potente Hole In Your Soul, tutte e tredici le tracce meriterebbero
una trattazione accurata; a noi resta la magia dell’ascolto.
E via via assaporando Basement Blues si fa mezzanotte, l’ora
di Midnight Train, quel treno del blues che non si ferma mai.
Ottimo.