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Davide
Van De Sfroos
Pica!
[Tarantanius/ Venus 2008]
Da varesino d.o.c. quale sono potrei approfittare dell'occasione e riesumare
atavici campanilismi per offendere un comasco. Ci vuole poco in questo
caso, basterebbe accogliere questo Pica! con il più classico
dei luoghi comuni: "ah, se fosse un americano piacerebbe a tutti!".
Ma per vostra fortuna non sono molto incline a certi odi da tifoseria
calcistica e non ho nessuna intenzione di trattare il signor Davide
Bernasconi, in arte Van De Sfroos, con la pietosa accondiscendenza
che a volte riserviamo ai nostri compatrioti. Invece no, Van De Sfroos
merita qualcosa di più di un semplice rispetto e incoraggiamento, perché
Pica! è il quinto capitolo di un percorso artistico vero, ed è il classico
album che comprende e riassume il tutto, le strade già battute, quelle
appena abbozzate e qualche nuovo tentativo di svilupparsi ulteriormente.
C'è il solito mix di folk irlandese, country americano e tradizione
lombarda, ma in più stavolta anche dosi massicce di musica cajun. Il
che ci fa arrivare subito al pezzo forte del disco, quella New
Orleans che sembra il brano che non è venuto in mente a Zachary
Richard l'anno scorso quando descrisse la tragica alluvione della città
nell'ottimo Lumière Dans Le Noir. Ovviamente Davide non può sentire
nel cuore la ferita d'orgoglio che la tragedia ha rappresentato per
ogni americano, per cui racconta il disastro con lo stesso divertito
ma rispettoso distacco con cui De Gregori descrisse l'affondamento del
Titanic, descrivendo l'illusione della felicità di un innamorato e la
successiva deriva delle speranze. Il meglio di Pica! esce
comunque dalle storie dell'alta Lombardia, che rappresentano un grande
contributo letterario, prima ancora che canzonettaro, come la storia
dei minatori valtellinesi de Il Minatore di
Frontale, con il refrain che dà il titolo al disco che sembra
uscito dai viaggi africani del Paul Simon di Graceland, o la bellissima
piano-song di 40 Pass, una dedica
al mito tutto lombardo di Milano e della sua Madonnina. E ancora la
storia d'amore di Loena De Picch,
la dedica all'arte della manifattura dei natanti de Il
Costruttore di Motoscafi, l'emigrante di Furestee,
tutte novelle di un libro che racconta le valli del Lago di Como con
lo stesso misto di realismo e ironia con cui Piero Chiara raccontò quelle
del varesotto, con quella capacità di trasformare le tipiche macchiette
da paese in personaggi mitologici (si ascolti anche la travolgente L'Alain
Delon de Lenn, uno dei brani più riusciti anche come arrangiamento).
La Ballata del Cimino riprende il
tema dei contrabbandieri da cui deriva anche il suo nome d'arte, un'epopea
che i vecchi delle zone limitrofe alla Svizzera ancora oggi raccontano
con malinconia, e che ben è stata descritta anche nel recente libro
"La terra della mia anima" di Massimo Carlotto. Ognuna di queste canzoni
ha una storia da raccontare, a volte vera (Lo
Sciamano), a volte forzatamente favoleggiata (la non riuscitissima
romanza fantasy de Il Cavaliere Senza Morte).
Purtroppo il disco ha il difetto di essere eccessivamente lungo, più
che altro considerando che alcuni brani proprio non reggono il confronto
con quelli citati (Fiil De Ferr,
ma anche il singolo dal ritornello un po' facilone di La
Terza Onda). Errori da grande artista e di un disco che ha
riassunto davvero tutto, pregi e difetti, limiti e orizzonti di un uomo
che dalle sagre paesane finirà ad esibirsi come i big al Datchforum
di Milano non avendo perso davvero nulla della sua genuinità.
(Nicola Gervasini)
www.davidevandesfroos.com
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