Evasio
Muraro O
tutto o l'amore
[Fragile/ Universal 2010]
C'è un luogo un po' appartato nella nostra canzone d'autore, un luogo
abitato negli anni '70 da musicisti liberi, irregolari, incatalogabili,
accomunati solo dall'autonomia d'espressione, dalla pratica ostinata di
una poetica che si faceva umilmente musica. Penso a Ivan Graziani, Alberto
Fortis, il primo Camerini. Quel luogo è rimasto per lungo tempo disabitato,
finché non sono tornati a popolarlo, un po' alla volta e lontano dai riflettori,
alcuni giocolieri della canzone provenienti dall'esperienza del rock alternativo
(milanese, per lo più) degli anni '90. Nomi come Luca Gemma o il redivivo
Stefano Edda Rampoldi. Mi piace pensare che a questo luogo appartenga
Evasio Muraro, anch'egli protagonista di quella stagione e ora
felicemente ritrovato in piena fertilità creativa. Solo un anno dopo Canzoni
per uomini di latta è di nuovo qua - con passo leggero, com'è
suo stile - con altre storie, impressioni, immagini da condividere.
C'è una scelta esplicita, al fondo di questo disco: o tutto o l'amore,
appunto. E l'amore è anche quello per la musica, riacceso dopo un tour
che ha soffiato su una fiamma mai sopita ma che per troppo tempo aveva
covato un po' nascosta. Così, senza perdere tempo, l'inverno è stato dedicato
a mettere insieme nuovi e vecchi spunti, cucire vestiti diversi per antiche
canzoni, trovare l'abito adatto a quelle nuove. Ne è risultata un'opera
che, nonostante la rapidità di realizzazione (appena qualche mese, contro
i due anni di gestazione di Canzoni per uomini di latta), suona sicura,
sciolta e matura: la voce di un autore che ha raggiunto la sicurezza dei
suoi mezzi. Un album personale, intessuto di suggestioni liriche, pennellate
impressionistiche avvolte in una coperta musicale calda e fragrante. La
voce si leva in primo piano, mentre gli arrangiamenti adagiano le canzoni
sulle trame della chitarra acustica - fingerpicking ariosi ma anche pennate
nervose, quando serve - e lasciano gli altri strumenti a riempire gli
spazi (prezioso il lavoro alle tastiere di Fidel Fogaroli), a dare
una tinta al pezzo senza calcarne i contorni (la chitarra di Daniele
Denti, che produce anche questa volta, a fare capolino qua e là).
Pur non suonando come un disco ruffiano, fatto per piacere a qualcuno,
contiene brani dal potenziale commerciale evidente. A voi la scelta: il
folk-pop di Non respiro, il riff sincopato
e appiccicoso di Smetto quando voglio
(l'ironico primo singolo), l'arpeggio circolare della title-track, il
crescendo drammatico di Se (recupero
di un bell'inedito dei Settore Out), il gancio rock di Un'ora
d'aria, oppure la westcoastiana Vedo
la tua ombra. Noi scegliamo il jazz-funk di Sussurrami
canzoni, galleria d'immagini che scorrono su un giro di basso
assassino, animata dalla prestazione maiuscola di Fogaroli e del batterista
Stefano Bertoli. A chiudere, una coppia di cover diversamente significative.
La prima è una versione di Solitary Man di Neil Diamond introdotta dal
mandolino di Dino Barbè e dal dobro di Maurizio Gnola Glielmo, per cui
Evasio si è servito del testo italiano (Se perdo
anche te), ma il cui arrangiamento scarno ricorda Johnny Cash;
la seconda, un omaggio a un grande milanese che se ne è andato proprio
un anno fa: Ivan Della Mea. La lezione civile di O
cara moglie, oltre a essere un ponte verso il passato prossimo
di Evasio (il suo lavoro di ricerca sui canti di lavoro), non suona affatto
datata. Anzi. (Yuri Susanna)