Flavio Oreglio & Staffora Bluzer
Anima popolare
[Long Digital Playing 2019]


File Under: quatter amis, quatter malnatt

facebook.com/longdigitalplaying

di Nicola Gervasini

Il cabaret non è argomento usuale su queste pagine, ma non sorprendetevi troppo di trovare il nome di Flavio Oreglio. “Attore, umorista e scrittore” dice la sua biografia, ma lui ci tiene a ricordare che in verità i suoi inizi erano quelli da “cantautore” nato alla scuola milanese di Jannacci e Gaber. Ed è lì che torna a guardare questo album, intitolato Anima Popolare proprio perché è nelle radici della canzone “che vien dal basso”, le nostre “roots” mi verrebbe da dire, che si ciba il folk di casa nostra. Folk music garantita dalla collaborazione con gli Staffora Bluzer, che sono Stefano Faravelli (piffero, flauti, cornamuse, voci) Matteo Burrone (fisarmonica, voce) Daniele Bicego (cornamuse, sax soprano, cornetta, bouzouki, voce), una unione di intenti che riprende il discorso del suo album precedente Giù (non è stato facile cadere così in basso) del 2008 che vedeva invece il supporto dei Luf. Dopo l’introduttiva Benvenuti, si passa infatti ad una title-track che ricrea lo stile delle tipiche ballate popolari fatte di feroce critica sociale e quel pizzico di amara disillusione che anima la visione del potere dal basso, mentre Bluzer Revoliscion si tiene a metà tra cabaret alla Cochi e Renato e un curioso connubio tra liscio e blues italiano. Dopo lo scherzo di La Vita è Una Brugola, le cose si fanno serie con l’intensa e stranota cover Ma Mi, testo in dialetto scritto dal regista teatrale Giorgio Strehler con fisarmoniche e cornamuse in grande evidenza (fu uno dei primissimi successi di Ornella Vanoni). Blues dei Deliri Quotidiani si sviluppa su un aspro Chicago-blues, mentre il cabaret torna preminente in La Mezza Minerale, con ironia sulla tendenza ad ingigantire le proprie imprese da parte dell’uomo comune. Consigliato a chi si sente orfano inconsolabile di un mondo milanese un po’ antico.


 


Ernesto Bassignano
Il mestiere di vivere
[Helikonia 2019]


File Under: Materiale resistente

facebook.com/helikoniaconcerti

di Nicola Gervasini

Se dico Folkstudio, voi giustamente pensate a De Gregori e Venditti, ma prima di loro in quel gruppo di giovani cantautori della Roma di fine anni sessanta c’era anche Ernesto Bassignano. Autore che poi ha preferito altro tipo di carriere (soprattutto conduttore radiofonico, ma anche attivista politico), pur non smettendo mai di sentirsi prima di tutto un cantautore. Il Mestiere di Vivere è infatti solo il nono album dal 1973 ad oggi, una carriera lenta ma importante (il secondo album Moby Dick venne prodotto da Rino Gaetano) di autore “impegnato” come si diceva un tempo, o interessato alla coscienza sociale come preferisco definirlo oggi. Il tema principale è quello di un vecchio attivista sociale alle prese con i tempi moderni, subito espressa in Amiamoci di Più che apre con un accorato appello a mantenere l’umanità di un tempo, un tema ripreso anche dal pittore solitario di Commesso Viaggiatore, intento a dipingere paesaggi immaginari in mezzo al grigiore della sua città. Il tema dell’eredità morale si fa poi evidente in Gli Occhi di mio Figlio, sorta di Father And Son all’italiana rivolta forse più ad una generazione che solo al proprio figlio, prima dei resoconti personali della title-track e del momento da teatranti di strada di Il Giullare Verticale, che vede l’intervento di David Riondino. Al mondo degli artisti sono dedicate la disillusa Gli Artisti e anche La Vita l’è quel che l’è, dedicata al gruppo di amici del Derby di Milano, mentre si chiude con il canto di resistenza di Un paese Vuol Dire ispirata da La Luna e il Falò di Cesare Pavese. Il mestiere di vivere è un prodotto da vecchia guardia anche negli arrangiamenti (producono Stefano Ciuffi e Edoardo Petretti) ma decisamente ancora attuale nelle riflessioni.


     


Luca Bonaffini
Il Cavaliere degli Asini Volanti
[Long Digital Playing 2019]


File Under: Chakra folk

facebook.com/longdigitalplaying

di Nicola Gervasini

La storia artistica di Luca Bonaffini ha radici lontane fin nei primi anni 80, con ormai tredici album all’attivo e una lunga vita come uomo dietro le quinte delle produzioni di Pierangelo Bertoli, con cui ha suonato e scritto per lunghi anni. Sue canzoni sono state interpretate anche da Fabio Concato, Flavio Oreglio, Claudio Lolli e anche star della canzone pop italiana come Nek si sono serviti del suo catalogo. Il Cavaliere degli Asini Volanti è un album davvero curioso, sia per lo stile che mischia canzone d’autore classica italiana di taglio folk, ad una certa vena di pop italiano, ma soprattutto per l’idea di ispirare ogni singolo brano ai sette Chakra, i punti nodali del collegamento tra anima e corpo secondo molte filosofie orientali. Un viaggio musicale attraverso i sensi dell'uomo e la terra, tra sonorità etniche e melodie pop, come l’iniziale La Radice che alterna una strofa da chansonnier vecchio stampo ad un ritornello orchestrale sospeso tra Battiato e melodica italiana. La lotta tra arrangiamenti da vecchio folksinger italiano e le orchestrazioni elettroniche, pensate dal co-produttore Roberto Padovan, sono l’elemento più interessante, come dimostrano gli intrecci con le percussioni di Impulsi Verticali e la ballate popolari alla De Andrè o Vecchioni di La città delle fiere danzanti e Di mare di terra di fuoco e di cielo. Concludono il disco il dolce arpeggio folk di Il Frutice e la Grande fionda, una Il Pianeta dei Sussurri Giganti che ricorda molto lo stile di Samuele Bersani, e il finale con la ritmata La Montagna del Bacio Gigante. Probabilmente Il Cavaliere degli Asini Volanti è un prodotto a metà tra due mondi musicali poco conciliabili (o concilianti) perché possa piacere a tutti, e proprio per questo resta un disco coraggioso.


 


Emanuele Andreani
E' questione di sopravvivenza
[Emanuele Andreani 2019]


File Under: Follie

facebook.com/emanueleandreanicantautore

di Nicola Gervasini

Emanuele Andreani è un giovane autore di Pesaro, appartenente ad una tradizione che unisce folk e musica melodica italiana, ma portatore di uno stile decisamente personale per cui faccio fatica anche a trovare riferimenti precisi (il che costituisce già un primo grande complimento). Esordiente nel 2013 con l’album La Vergine Ispirazione, Andreani propone ora un progetto molto particolare intitolato È Questione di Sopravvivenza, ben 15 pezzi autoprodotti, caratterizzati dalla sua voce molto particolare e squillante, quasi vicina allo stile di certo prog italiano degli anni settanta. Anche gli arrangiamenti infatti mischiano strutture folk con inserti di rock radiofonico (prendete Ruggine, che parte riflessiva ed esplode in un finale decisamente elettrico), mentre Uomini ad esempio unisce un giro di acustica e armonica con un incedere minaccioso garantito da varie tastiere. Molto interessanti i testi del disco, pregni di un umane trova ne Il Matto la migliore espressione, riflessione sulla vita ai margini di un artista, ma anche volendo di chi magari non è ritenuto “normale” per qualche incomprensibile ragione. La ragione di Andreani è ad esempio la sua cecità, caratteristica che si legge tra le righe delle canzoni, ma che segnaliamo soprattutto perché i proventi delle vendite del disco andranno interamente all'Unione Italiana dei Ciechi e Ipovedenti (www.uicipesaro.it) di Pesaro. Operazione benefica che ci sentiamo di appoggiare, anche perché il disco, seppur nella sua non ben calibrata lunghezza, mostra comunque un autore già molto maturo che forse meriterebbe anche una produzione ancor più adatta. Sentite ad esempio Schiavi, che è una bella ballata in mid-tempo rock con qualche tastiera in primo piano forse di troppo, che non toglie comunque valore al brano.


 

 


<Credits>