Il cabaret non è argomento
usuale su queste pagine, ma non sorprendetevi troppo di trovare
il nome di Flavio Oreglio. “Attore, umorista e scrittore”
dice la sua biografia, ma lui ci tiene a ricordare che in verità
i suoi inizi erano quelli da “cantautore” nato alla scuola milanese
di Jannacci e Gaber. Ed è lì che torna a guardare questo album,
intitolato Anima Popolare proprio perché è nelle
radici della canzone “che vien dal basso”, le nostre “roots” mi
verrebbe da dire, che si ciba il folk di casa nostra. Folk music
garantita dalla collaborazione con gli Staffora Bluzer, che sono
Stefano Faravelli (piffero, flauti, cornamuse, voci) Matteo Burrone
(fisarmonica, voce) Daniele Bicego (cornamuse, sax soprano, cornetta,
bouzouki, voce), una unione di intenti che riprende il discorso
del suo album precedente Giù (non è stato facile cadere così
in basso) del 2008 che vedeva invece il supporto dei Luf.
Dopo l’introduttiva Benvenuti, si passa infatti ad una
title-track che ricrea lo stile delle tipiche ballate popolari
fatte di feroce critica sociale e quel pizzico di amara disillusione
che anima la visione del potere dal basso, mentre Bluzer Revoliscion
si tiene a metà tra cabaret alla Cochi e Renato e un curioso connubio
tra liscio e blues italiano. Dopo lo scherzo di La Vita è Una
Brugola, le cose si fanno serie con l’intensa e stranota cover
Ma Mi, testo in dialetto scritto dal regista teatrale Giorgio
Strehler con fisarmoniche e cornamuse in grande evidenza (fu uno
dei primissimi successi di Ornella Vanoni). Blues dei Deliri
Quotidiani si sviluppa su un aspro Chicago-blues, mentre il
cabaret torna preminente in La Mezza Minerale, con ironia
sulla tendenza ad ingigantire le proprie imprese da parte dell’uomo
comune. Consigliato a chi si sente orfano inconsolabile di un
mondo milanese un po’ antico.
Ernesto
Bassignano Il
mestiere di vivere [Helikonia
2019]
Se dico Folkstudio, voi giustamente pensate
a De Gregori e Venditti, ma prima di loro in quel gruppo di giovani
cantautori della Roma di fine anni sessanta c’era anche Ernesto
Bassignano. Autore che poi ha preferito altro tipo di carriere
(soprattutto conduttore radiofonico, ma anche attivista politico),
pur non smettendo mai di sentirsi prima di tutto un cantautore.
Il Mestiere di Vivere è infatti solo il nono album
dal 1973 ad oggi, una carriera lenta ma importante (il secondo
album Moby Dick venne prodotto da Rino Gaetano) di autore
“impegnato” come si diceva un tempo, o interessato alla coscienza
sociale come preferisco definirlo oggi. Il tema principale è quello
di un vecchio attivista sociale alle prese con i tempi moderni,
subito espressa in Amiamoci di Più che apre con un accorato
appello a mantenere l’umanità di un tempo, un tema ripreso anche
dal pittore solitario di Commesso Viaggiatore, intento
a dipingere paesaggi immaginari in mezzo al grigiore della sua
città. Il tema dell’eredità morale si fa poi evidente in Gli
Occhi di mio Figlio, sorta di Father And Son all’italiana
rivolta forse più ad una generazione che solo al proprio figlio,
prima dei resoconti personali della title-track e del momento
da teatranti di strada di Il Giullare Verticale, che vede
l’intervento di David Riondino. Al mondo degli artisti sono dedicate
la disillusa Gli Artisti e anche La Vita l’è quel che
l’è, dedicata al gruppo di amici del Derby di Milano, mentre
si chiude con il canto di resistenza di Un paese Vuol Dire
ispirata da La Luna e il Falò di Cesare Pavese. Il mestiere
di vivere è un prodotto da vecchia guardia anche negli arrangiamenti
(producono Stefano Ciuffi e Edoardo Petretti) ma decisamente ancora
attuale nelle riflessioni.
Luca
Bonaffini Il
Cavaliere degli Asini Volanti [Long
Digital Playing 2019]
La storia artistica di Luca
Bonaffini ha radici lontane fin nei primi anni 80, con ormai
tredici album all’attivo e una lunga vita come uomo dietro le
quinte delle produzioni di Pierangelo Bertoli, con cui ha suonato
e scritto per lunghi anni. Sue canzoni sono state interpretate
anche da Fabio Concato, Flavio Oreglio, Claudio Lolli e anche
star della canzone pop italiana come Nek si sono serviti del suo
catalogo. Il Cavaliere degli Asini Volanti è un
album davvero curioso, sia per lo stile che mischia canzone d’autore
classica italiana di taglio folk, ad una certa vena di pop italiano,
ma soprattutto per l’idea di ispirare ogni singolo brano ai sette
Chakra, i punti nodali del collegamento tra anima e corpo secondo
molte filosofie orientali. Un viaggio musicale attraverso i sensi
dell'uomo e la terra, tra sonorità etniche e melodie pop, come
l’iniziale La Radice che alterna una strofa da chansonnier
vecchio stampo ad un ritornello orchestrale sospeso tra Battiato
e melodica italiana. La lotta tra arrangiamenti da vecchio folksinger
italiano e le orchestrazioni elettroniche, pensate dal co-produttore
Roberto Padovan, sono l’elemento più interessante, come dimostrano
gli intrecci con le percussioni di Impulsi Verticali e
la ballate popolari alla De Andrè o Vecchioni di La città delle
fiere danzanti e Di mare di terra di fuoco e di cielo.
Concludono il disco il dolce arpeggio folk di Il Frutice e
la Grande fionda, una Il Pianeta dei Sussurri Giganti
che ricorda molto lo stile di Samuele Bersani, e il finale con
la ritmata La Montagna del Bacio Gigante. Probabilmente
Il Cavaliere degli Asini Volanti è un prodotto a metà tra due
mondi musicali poco conciliabili (o concilianti) perché possa
piacere a tutti, e proprio per questo resta un disco coraggioso.
Emanuele
Andreani E'
questione di sopravvivenza [Emanuele
Andreani 2019]
Emanuele Andreani è un giovane autore
di Pesaro, appartenente ad una tradizione che unisce folk e musica
melodica italiana, ma portatore di uno stile decisamente personale
per cui faccio fatica anche a trovare riferimenti precisi (il
che costituisce già un primo grande complimento). Esordiente nel
2013 con l’album La Vergine Ispirazione, Andreani propone
ora un progetto molto particolare intitolato È Questione
di Sopravvivenza, ben 15 pezzi autoprodotti, caratterizzati
dalla sua voce molto particolare e squillante, quasi vicina allo
stile di certo prog italiano degli anni settanta. Anche gli arrangiamenti
infatti mischiano strutture folk con inserti di rock radiofonico
(prendete Ruggine, che parte riflessiva ed esplode in un
finale decisamente elettrico), mentre Uomini ad esempio
unisce un giro di acustica e armonica con un incedere minaccioso
garantito da varie tastiere. Molto interessanti i testi del disco,
pregni di un umane trova ne Il Matto la migliore espressione,
riflessione sulla vita ai margini di un artista, ma anche volendo
di chi magari non è ritenuto “normale” per qualche incomprensibile
ragione. La ragione di Andreani è ad esempio la sua cecità, caratteristica
che si legge tra le righe delle canzoni, ma che segnaliamo soprattutto
perché i proventi delle vendite del disco andranno interamente
all'Unione Italiana dei Ciechi e Ipovedenti (www.uicipesaro.it)
di Pesaro. Operazione benefica che ci sentiamo di appoggiare,
anche perché il disco, seppur nella sua non ben calibrata lunghezza,
mostra comunque un autore già molto maturo che forse meriterebbe
anche una produzione ancor più adatta. Sentite ad esempio Schiavi,
che è una bella ballata in mid-tempo rock con qualche tastiera
in primo piano forse di troppo, che non toglie comunque valore
al brano.