Luca
Maciacchini Il
Boomerang di Dante
[Devega 2010]
Visto che queste pagine hanno origine nel cuore della Lombardia, val la pena
ogni tanto dare un occhio al mondo della canzone regionale, dove accanto ad artisti
che hanno usato il nostro folklore per costruire uno stile maturo e personale
(pensiamo a Davide Van De Sfroos), sopravvive ancora una tradizione musicale (la
nostra "roots music" moderna dunque?) che si rifà ai grandi nomi di Gaber, Jannacci,
Svampa, tutti sempre in bilico tra folk, jazz e cabaret (fino al teatro vero e
proprio), tutti artisti di vecchia generazione che hanno oggi pochi veri e sinceri
adepti. Luca Maciacchini è uno di questi, varesino da sempre volutamente
in bilico tra recitazione, comicità e canzone d'autore, uno spirito libero (anche
scrittore e chitarrista classico) destinato a muoversi tra le trappole dell'essere
politicamente targato come leghista d'ordinanza a causa dell'utilizzo del dialetto,
se non addirittura come semplice artista popolare buono per una sagra del liscio.
"Ma forse è una questione d'avventura sapersi gradualmente districare nella febbricitante,
aspra e dura selvaggia selva d'inerzia popolare" risponde lui tramite la voce
di Maria Antonazzo in Dante, secondo brano
de Il Boomerang di Dante, sua opera terza arrivata dopo Semaforo
Rosso del 2007 con rinnovata e ancor più inferocita vis polemica.
E allora
via ad un cd per nulla ammiccante al facile populismo, che sciorina una galleria
di un' Italia da odiare profondamente, quella dei Corona e soubrette a seguito,
dei calciatori strapagati e dei rispettabili borghesi pedofili, degli ipocriti
moralismi pseudo-religiosi e dei falsi musicisti da festa paesana, tutti ben descritti
nelle quattro parti del brano Bestiario. Qui
si presenta l'Italia del pensiero "piccolo", quello che vuole che gli sbruffoni
e arroganti vengano omaggiati (e votati…) per paura dell'effetto controproducente
dell'opporsi al potere, un fenomeno boomerang che da sempre blocca la nostra ragion
critica di massa (se ne parla in Boomerang). Storie popolari insomma, come un
tempo cantate attraverso ballate spesso in dialetto, con satire alla George Orwell
che parlano di pollai per denunciare lo stato del mondo del lavoro (I
Gaijn del Lavurà, Co. Co. Co.)
o colti reading blues danteschi (Belacqua Blues).
In ogni caso quello che sembra essere il vero tema del disco (che come sua abitudine
si trasformerà anche in uno spettacolo teatrale) è il problema della "acriticità"
con cui il pubblico moderno accoglie qualsiasi cosa, sia essa politica o cultura,
con quella sensazione di fastidioso applauso obbligato derivante dalla cultura
del "son tutti bravi e belli" propagata dalla comunicazione di massa (giornali
e televisione in primis), qui denunciata a ritmo dance nella tagliente Ma
cosa applaudite.
Noi ad esempio applaudiamo i grandissimi testi
e la matura complessità del progetto, un po' meno forse l'aspetto musicale, che
continua a rimanere in secondo piano a discapito del contenuto (ma d'altronde
gran parte dell'opera discografica del maestro Gaber ha sofferto dello stesso
difetto). In altre parole la musica resta sempre al servizio delle parole, creando
un quadro sonoro stilisticamente vario, quanto poco definito e caratterizzante,
nonostante l'eclettismo degli arrangiamenti pensati con il tastierista Luca Fraula.
Colpa forse dell'eterna indecisione se puntare sul suo essere un bravo cantante
(il bel duetto con Sandra Zoccolan di Estetica della
Rinuncia abbandona ogni velleità teatrale a favore di una pura musica
leggera) o lettore di classici (Turista Ulisse
riporta il tutto dentro le mura di un Liceo Classico), un comico o un semplice
fustigatore sociale. Lui però sguazza in questa poliedricità espressiva e ama
definirsi semplicemente un entertainer, per cui si prenda Il Boomerang di
Dante nel suo insieme di progetto artistico a 360 gradi, o semplicemente
come un inusuale e intelligente entertaiment. (Nicola Gervasini)