Frequentando quella vivace scena roots pavese che ruota intorno ai Mandolin' Brothers,
nome storico per chi si interessa di american music resa con qualità in Italia,
è facile imbattersi in Riccardo Maccabruni, pianista e fisarmonicista da
diverso tempo membro della band. La sua voce e le sue canzoni hanno lentamente
preso un loro legittimo spazio nel repertorio del gruppo, ma era chiaro che avessero
bisogno di un luogo tutto per sé dove esprimersi, che il qui presente Waves
va a colmare con una certa sorpresa. Maccabruni è un musicista eclettico e lo
dimostravano già le sue collaborazioni in numerosi progetti, dal rock d'autore
di Massimo Priviero al folk dello svedese Richard Lindgren fino alla partecipazione
in mille progetti a livello locale.
Difficile però immaginare che un ottimo
pianista nascondesse questa vena da folksinger e sensibile autore, così come emerge
nei dieci episodi dell'album, più o meno direttamente collegato al percorso principale
dei citati Mandolin' Brothers. La matrice musicale è simile, e spesso anche i
musicisti, con la comparsa delle chitarre di Marco Rovino in molti brani e i camei
di Joe Barreca, Paolo Canevari e Jimmy Ragazzon, tutti compagni di strada ben
conosciuti, ai quali si aggiungono, degne di nota, le presenze di Francesco Montesanti
(suoi diversi ficcanti interventi alla sei corde solsita), Paolo Ercoli al dobro
e pedal steel, Rino Garzia al basso. La cura in fase di mixaggio del songwriter
americano Jono Manson chiude il cerchio su questa sorta di grande famiglia,
anche se Riccardo Maccabruni resta indipendente con le sue canzoni e un mood molto
personale, che rende Waves un lavoro dove folk rock, sapori west coast settanteschi,
incursioni nella roots music più acustica e anche sventagliate southern si fondono
con una preparazione impeccabile, segno che questi linguaggi sono stati assorbiti
con autenticità.
Anche il tono spesso confessionale, intimo e amichevole
con cui Maccabruni scrive i testi conferma questo viaggio dentro certa canzone
americana di un tempo, aprendosi sulle note acustiche e il picking leggero di
Hold You Tight ed entrando nell'arioso sound
della stessa Waves o della pianistica Everybody's
Feeling. Le melodie sono terse, la voce, a volte ancora incerta sui
passi, si distende comunque serena sui versi e si tuffa in ballate dal cuore stradaiolo
(il vento sudista di None of Us), dominato da quel rock californiano di
cui ci si innamorava in una stagione lontana e mai dimenticata (Keep
On, Babylon), magari virato verso il gusto Americana (Good
is Right) e impastato nella polvere country più rustica (Nothing
Left to Die For).
Colpisce di queste canzoni la loro naturalezza,
compresa tutta l'innocenza di un'opera prima che potrà solo migliorare col tempo,
e poi quell'intesa immediata fra i partecipanti, che si riconoscono in un amore
musicale comune, ma convince anche la sincerità di Riccardo Maccabruni, che compone
alla chitarra e al piano (si concede una chiusura al suo strumento principale
con Make Me Wonder, classica ballad con Jackson Browne nel cuore) esprimendo
un affetto incondizionato per alcune sonorità e adattandole ai sentimenti che
vuole raccontare.