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inserito
03/04/2009
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Cockabilly? Perchè no, l'importante è entrare in
sintonia con il mondo allucinato e teatrale dei Legendary Kid Combo,
che ci invitano ad assaporare la loro miscela di country-punk-psychobilly-bluegrass-folk-gothic-balkanica
("e una spolverata di ironia" ci tengono ad aggiungere loro). Insomma,
un po' come assistere ad un concerto di Johnny Cash di spalla ai Gun Club
durante un "medicine show", anche se, a cominciare dal nome,
il primo e imprescindibile punto di riferimento per questi cinque ragazzi
italiani ma dai fantasiosi nomi da Far West (Don Bat, voce e chitarre,
Lucky Luke, voce e acustiche, el Sentenza, banjo e steel, Big Boss, contrabbasso,
Dr. Cyclops, batteria) sembra essere quello dei Legendary Shack Shakers,
altra combriccola di "fulminati" sovvertitori delle radici che abbiamo
imparato a conoscere con regolarità sulle pagine del sito. Simile infatti
la miscela di scalpitante punk e marcette country diaboliche, qui per
giunta accresciute in parodia dall'idea di dedicare undici ubriache canzoni
al tema della morte, con personaggi fittizi che si muovono nella leggenda.
Mary Blunder e Marianne
Hedergaard si agitano su ritmi forsennati e voci distorte;
Ivanov Sergej si apre sulle note di O Ciciornia e fruga in
qualche melodia balanica (così accade anche nel canto marinaio di Sailor
Stuk The Greek) prima di farla sposare con il banjo; Eddie
Montana possiede un gusto sudista più accentuato che diviene
canto gospel sguaiato in Billy "Big" Joey;
The Ghost Of Tom Pity fruga ancora
nell'old west con un piano da saloon guizzante; Oliver
And Jenny Knox è puro country noir con chitarroni twangy;
Unknown chiude il sipario, è proprio il caso di dirlo, tra
fisarmoniche, cori da osteria e bicchieri alzati al cielo. Il richio a
volte è la macchietta, probabilmente eccessivi, eppure trascinanti:
Viva la Muerte è il loro secondo lavoro sulla lunga distanza
dopo Booze Bucks Death & Chicks del 2007, grazie ai quali i Legendary
Kid Combo si impongono come la western party band definitiva. Se
decidete di farvi un giro per l'Europa, non fate l'errore di transitare
velocemente e distrattamente per il Canton Ticino. Oltre ad essere la
Svizzera terra sorprendente in tema di spettacoli naturali, i nostri vicini
di casa sono da sempre anche bacino di larga utenza di suoni e cultura
americani. Fabio Ducoli, in arte Johnny Duk, viene da Faido, ha
una passione non nascosta per Bruce Springsteen e tanta voglia di provare
a dire la sua nel genere dopo una lunga gavetta che l'ha portato in gioventù
a bazzicare anche gli ambienti sanremesi della musica leggera italiana.
The River Of Dreams nasce da anni di comune passione per
i suoni rurali d'oltreoceano con la violinista Claudia Klinzing, ed è
composto da dodici brani che mischiano country, folk, e suoni irlandesi,
con una certa somiglianza alla proposta musicale del nostrano Davide Van
De Sfroos, o se preferite, allo Springsteen zona Seeger-sessions, richiamato
anche nel nome della band che lo accompagna. Ci si diverte parecchio con
episodi da bar come Serenade e il
traditional Will You Miss Me? (When I'm Gone),
ci si emoziona molto con due belle ballate folk come Desolation
Land e la stessa The River Of Dreams,
per le quali Duk si guadagna anche i complimenti per scrittura e interpretazione.
Ci si lascia scappare un sorriso per lo strano tentativo di portare la
mitica hit anni 90 dei Fastball The Way nelle
desertiche atmosfere del Texas, ci si diletta anche per il suono del suo
dobro e per il violino della Klinzing negli strumentali
Dusty Valley e Laddy's Tune.
Insomma, al di là della pronuncia inglese di Johnny che a volte tradisce
un po' le origini non proprio da yankee DOC, deliziose e semplici roots-songs
come My Last Wish e Something's
Burning sono testimonianza di una piena maturità e capacità
di maneggiare l'argomento rock. Consigliati anche come set dal vivo. Birra
compresa. Quartetto
marchigiano che si definisce apertamente "rockabilly band" sulle pagine
del proprio sito, non facendo mistero alcuno dell'immaginario e delle
ispirazioni che lo guidano, i Fabulous Daddy si presentano all'appello
dell'esordio discografico con dieci brani originali (non poca cosa per
il genere affrontato, spesso ripiegato sull'interpretazione dei classici
del passato) e due cover quanto meno curiose. Partendo da queste ultime
si può forse avere un ritratto della versatilità della band, non necessariamente
un combo dedito alla sola rivisitazione di uno stile circoscritto: la
scelta di Dune Buggy (si, proprio
il sucecsso degli OLiver Onions, tratta dalla colonna sonora di "Altrimenti
ci arrabbiamo") è senza dubbio spiritosa, ma è l'idea azzeccata di rispolverare
I've Just Seen a Face di Lennon-McCartney
(una delle canzoni ritmicamente più interessanti del primo periodo dei
Beatles) che fa sorgere il sospetto che l'amore per gli "oldies" dei Fabulous
Daddy si sposti un poco oltre gli anni cinquanta. Lo dimostrano brani
che aldilà dello stantuffo della sezione ritmica di Marco 'Mats'
Mattei e David 'Blue' Bellezza e delle chitarre riverberate di Emiliano
'Chuck' De Angelis, paiono sfruttare la presenza dell'ospite Piero 'Perry'
Belleggi al piano. Da qui nascono ballate dai sapori americani stradaioli
(Six Miles), altre irrimiediabilmente
romantiche (Waliking Down the Street)
oltre ad effusioni country (Lovely Boy,
I Found the Right Girl) che vanno
alla radice del sound di Do You Feel a Wanderer? Il quale
resta evidentemente un disco di genere, con una chiara abbondanza di spassose
svisate rockabilly (I Gotta Go, la
straripante Texico e Drunk
With my Baby) ed un suono a tratti più scuro e denso (I'm
Still in Love With You, I Promise).
Per uscire da un certo recinto musicale, se ne avranno voglia e coraggio,
ci sono episodi che mostrano già la via. Restando
della terra delle Marche, ecco il trio degli E.Z. Riders, che fin
dal nome sembrano giocare a carte scoperte con le proprie radici musicali:
si respira infatti aria di southern rock, jam e fughe strumentali, al
servizio però di un suono mai eccessivamente roccioso, da classico power-trio,
semmai con qualche spiraglio su una canzone americana più tradizionale,
che arriva a lambire l'esperienza del country rock (il finale con Still
Blows the Wind). Experienced Zydeco Riders ha
già ottenuto qualche attenzione da webzine internazionali e la produzione
indipendente non ha impedito alla band di farsi notare sulle pagine del
famoso retailer Cdbaby, dove potrete assaggiare qualche brano dal loro
repertorio. Anima della band sono le chitarre e la voce di Alessandro
Alessandrini, già con Old Tennis Shoes e Blue Dogs, questi ultimi
cover band italiana dell'Allman Brothers, di una certa risonanza. Gran
parte del materiale proposto dagli E.Z. Riders si regge sulla solida scuola
rock blues della sua sei corde, anche se non è da sottovalutare la sezione
ritmica formata dai fratelli Luigi e Rodolfo Ridolfi, il primo complice
delle interessanti armonie vocali, elemento aggiunto per "alleggerire"
il suono della band (Real Good Love
e The Way to The Heart in apertura
indicano la strada). Il quale resta senza dubbio un po' imbrigliato nella
formula spartana del trio, specialmente negli episodi più dichiaratamente
southern (Witchy Woman,
Mean Mistreater, The Dreamer),
trovando invece uno spiraglio quando insegue soluzioni più morbide (Jeremiah
Johnson). Se le capacità strumentali non sono dunque in discussione,
occorre tuttavia una maggiore ricerca in fase di produzione, con un sound
che risulti meno "piatto", per esaltare la densità delle chitarre. |