Opera prima per Alberto De Gara (che firma i brani con il vero nome di
Alberto Cusa), e che tuttavia svela subito un'esperienza e una qualità nella composizione
dei brani difficilmente attribuibili ad un giovane autore alle prime armi. La
sua storia parte infatti da lontano e leggendo fugacemente le note biografiche
essenziali sembra comune a mille altri, con quella gavetta musicale che diventa
soprattuto una scoperta di sé, delle proprie ambizioni, fino a trovare nella maturità
il passo giusto per scrivere canzoni in proprio.
Dunque, tralasciando
le avventure in duo acustico, gli esordi fra rock e blues in diversi progetti
più o meno originali approdiamo a Deeper, un lavoro che desta buone
impressioni per la cura minimale dei dettagli. Contraddizione apparente, perché
nel suono elegante e parco di queste ballate è nascosta la chiave di lettura dell'album:
arrangiamenti che partono da una scarna base folk, di volta in volta arricchiti
da stralci elettrici, note di tastiere e organo, sax, archi al sintetizzatore,
senza appesantire il passo, sempre attenti alla melodia e allo stile vocale di
Alberto De Gara. Lui canta con toni sussurrati, a volte quasi confidenziali, toccando
questioni di affetto e amore senza scadere troppo in luoghi comuni, su un terreno,
sappiamo bene, scivoloso e magari per qualcuno addirittura abusato. Quello che
emerge prima di tutto è l'aspetto musicale, e il suono delle parole lo segue:
dall'introduzione di Tell Me ai languori bluesy
di When You Were My Life (poi ripresa nel
finale con toni cameristici) unisce profumi west coast (l'ombra di Crosby per
esempio, nell'apertura della citata Tell Me) e lezioni di folk rock con un gusto
pop più british nella ricerca delle melodie (I Don't Wanna Cry Tonight),
passione evidente in particolare quando il disco intraprende strade acuistiche
e intime.
Accade nella dolce Over the Rainbow,
gemellata idealmente con Into my Arms, e seguita quest'ultima da Another
Day Without Love, solo per voce e piano. Le liriche sembrano adagiarsi al
mood musicale, con parole e confessioni semplici, a volte mettendo in evidenza
la fragilità dei sentimenti: De Gara le canta, come anticipato, con un'intensità
sussurrata, per sottrazione, approccio che forse non funziona in ogni occasione
(Hold Me Tight, comunque intrigante nella tessitura degli archi), richiede
ancora qualche sforzo nel dominare le vibrazioni della lingua inglese, ma sa adattarsi
a vicenda con il timbro offerto dalla band, dove spiccano tra gli altri Roberto
Uberti (piano, organo) e Alberto Steri (chitarre elettriche). Piacerebbe a questo
punto che qualcuno mettesse a disposizione mezzi, orecchie e consigli preziosi
per Alberto De Gara, che pare avere passo e convinzione per ambire a un'ulteriore
crescita artistica.