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Blancos
Short Songs, To Be Strong
[Bonzo Recording 2022]


File Under: back to the roots

facebook.com/collettivoblancos

di Fabio Cerbone

Armonicista torinese per diverso tempo alla guida della sua personale Blues Revue, capace di portare il nome della scena italiana anche a livello europeo, Dave Moretti compie una giravolta stilistica con il qui presente progetto dei Blancos, trio messo insieme con la partecipazione del percussionista Alan Brunetta e del contrabassista Gianfranco Nasso. Con la curiosa copertina curata dall’artista Diego Zangirolami e la partecipazione attiva di alcuni dei migliori talenti del circuito roots italiano (ben noti a noi Francesco Piu, qui al dobro e chitarra acustica baritona, e Lino Muoio al mandolino), Short Songs, To Be Strong raccoglie brani inediti che necessitavano di un’altra veste rispetto al suono urbano, swingato ed elettrico che Moretti aveva percorso in passato. L’esito è notevole per carattere e intensità del materiale (e di una vocalità assolutamente espressiva e adatta al genere), che pesca nelle radici più ancestrali della musica afroamericana, colorandosi di gospel, di usanza country blues, di ritmi più “sudisti” e tradizionali, a partire dal canto innalzato in One Day, ottimo impasto corale, e dalla più incandescente Butterflies. Il lavoro ritmico, anche sugli strumenti a corda (Moretti giostra anche chitarra acustica, dobro e weissenborn) è una delle caratteristiche di un album che evoca fantasmi musicali del passato ma vuole toccare tematiche attuali, indagando i dubbi del nostro presente. L’operazione sta in perfetto equilibrio e tocca una sensibilità da folksinger in Jackie (tra gli episodi migliori) e nella dolce nenia conclusiva di Walking By My Side, alternate al sound più spiritato e “mississippiano” di Heart+Sand e Like a Fish o ancora meglio di una pulsante e torbida The Keystone.


 


Sacromud
Sacromud
[Labilia 2022]


File Under: dark matters

sacromud.com

di Nicola Gervasini

La presentazione della band sul loro sito è già tutto un programma, con frasi pittoresche come “Sacromud è una produzione Labilia che prova a farsi interprete del Sacro Fango del contemporaneo” che servono a creare una atmosfera quasi da rito Voodoo intorno al loro blues. I Sacromud non escono però da un film sui riti di New Orleans (anche se gli piacerebbe), ma dalle sinuose colline del nostro centro Italia. La sigla è nuova, ma non i musicisti che la animano, soprattutto il chitarrista Maurizio Pugno, che vanta una già lunga discografia tra dischi personali e collaborazioni, vero deus ex machina del progetto che ha coinvolto l’interessante vocalist Raffo Barbi, la sezione ritmica formata da Franz Piombino e Riccardo Fiorucci, e le tastiere di Alex Fiorucci. Registrato a Gubbio ma perfezionato da Alex Gordon negli Abbey Roads di Londra (non siamo nel Mississippi, ma anche il Tamigi va bene per una manzoniana “risciacquatura dei panni in Arno” a benedire il progetto) l’album si compone di dodici brani originali scritti dalla coppia Pugno/Barbi, e solo in Exodus un vero coro di nativi americani intona un canto tradizionale. La prima parte trova una perfetta sintesi tra io granitici riff di Pugno e l’eclettica vocalità di Barbi, che avendo anche un bel falsetto nel proprio repertorio, porta spesso a sconfinare nella funky-music alla Commodores (ad esempio nel finale con Apple Slice o Dark Clouds). Ma spesso il loro è un blues lento e fangoso (You’re Ready To Laugh o The Woman’s Trouble Is Me) o da ballare, come l’episodio alla Blues Traveler di The Mule o il puro funky di Symmetry. Molto originali, e per una blues-band credo sia sempre il complimento migliore.


     


Stefano Dentone &
The Sundance Family Band

Sunday Ranch
[Go Country records 2022]


File Under: roots jammin'

stefanodentone.com

di Fabio Cerbone

Titoli delle canzoni, dell’album stesso e infine copertina inequivocabili, atmosfera da rock agreste e dalle timbriche sudiste che attinge alla lezione dei 70s americani fino ad approdare al suono Americana di queste stagioni, il nuovo progetto di Stefano Dentone, autore livornese, si avvale del contributo aperto e jammato dalla Sundance Family Band. Sei musicisti più due coriste aggiunte, a stemperare con toni gospel e melodici, una registrazione che prende forma nella dimora di legno dello stesso Dentone, nella campagna Toscana, Sunday Ranch è l’album più dichiaratamente roots del musicista, che in passato avevamo già avvistato con il duo formato insieme ad Antonio Ghezzani e nel progetto The Running Chickens. Dall’atmosfera country rock pastorale dell’iniziale The Bayou alla chiusura con l’incalzante Falling Down Blues, Sunday Ranch vive del dialogo fra l’elettricità delle chitarre dello stesso Dentone e di Marco Fontana, di chiara ascendenza southern, e l’anima acustica e folkeggiante del violino di Chiara Cavalli e del mandolino Valentina Fortunati. Solide basi country folk (Country Poor Boy), sferzate rock blues sudiste (Honey I Don’t Know, Changing Blues), tepore roots (Lot of Loving Left to Do), un’attitudine all’intreccio strumentale (Sometimes I feel) che ricorda il lavoro di band come Railroad Earth e Old Crow Medicine Show, la vivacità musicale della Sundance Family Band è il pregio maggiore di un disco che sogna e reinterpreta l’America rurale con un approccio informale e comunitario che ricorda stagioni lontane.


 


Hernandez & Sampedro
Traces
[Buona Suerte 2022]


File Under: This time play it loud

facebook.com/hernandezsampedro

di Nicola Gervasini

Tornano i ravennati Hernandez & Sampedro, un duo che avevamo già incontrato fin dai tempi del loro disco di esordio Happy Island del 2013. E se allora i due si proponevano come classico duo-acustico di marca West Coast, oggi la sigla cela una vera propria band che, oltre ai due titolari Luca "Hernandez" Damassa e Mauro "Sampedro" Giorgi, include anche la sezione ritmica formata da Giacomo “Jack La Bamba” Sangiorgi e Luca “El Chapo” Cocchieri (con l’aiuto delle tastiere di Giuliano “Juanito Guerrero” Geurrini). E se i nomi continuano a sapere di personaggi di un romanzo di Don Winslow, la musica di questo loro terzo album Traces, arrivato a sei anni da Dichotomy, si è fatta invece ancora più sporca e urbana, e molto ha inciso la scelta di registrare tutte le parti strumentali in presa diretta a dispetto delle difficoltà logistiche causate dal lockdown. La iniziale Butterfly pare infatti un brano dei Buffalo Tom più classici, e l’energia da garage di Superstar riporta tutti al mondo alternativo e sotterraneo degli anni 80. Le ballate comunque arrivano (Only You and Me, Diamond) e sanno anche di college rock alla Del Amitri, ma brani come Broken Mirrors hanno il sapore degli episodi più rauchi ed elettrici dei Son Volt, mentre Predestined Life e The Sky Above The Rain fanno immaginare un viaggio nel Texas dei Bad Religion visto il loro taglio da punk-rock anni 90. Si distingue la cavalcata younghiana di More Than I Can Do, quasi la loro Like An Hurricane, o brani di puro roots-rock da battaglia come Freedom Run. Il finale è affidato alla bella Sole Survivors e ad una Warm Wind che recupera la loro passione per suoni e cori di Crosby, Stills & Nash. Decisamente un buon salto di qualità.

 


<Credits>