Edward Abbiati
Beat the Night
[Edward Abbiati/ IRD 2019]

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File Under: music is the healer

di Fabio Cerbone (18/11/2019)

Potremmo partire dalla fine, dalle parole di I Can’t Tell Ya, che sono impresse lì, schiette e senza possibilità di fraintendimenti: I beat the beast/ I laid him down into the ground. Voce e chitarra acustica sono di Edward Abbiati, l’armonica dell’ospite Jimmy Ragazzon (Mandolin Brothers), non serve altro per arrivare dritti alla confessione. C’è stato un prezzo da pagare, ma la rinascita, la luce, si sono fatte largo, dopo alti e bassi, dopo che la vita ha riservato qualche sonoro schiaffo, di quelli che ti inchiodano al muro, per tanti motivi, e magari si trascinano appresso altri pensieri, fallimenti, errori, anche se non direttamente collegati alla malattia.

È da un percorso di dolore personale, come spesso capita, che nasce l’ispirazione artistica di Beat the Night, bel titolo che racconta attraverso dieci ballate di impianto in prevalenza acustico la battaglia di Abbiati, quella che per un momento ha fatto vacillare le certezze, forse il suo stessoamore per il rock’n’roll, espresso nell’avventura dei Lowlands prima e in quella feroce del progetto The ACC poi. Beat the Night è gioco forza l’album più privato e senza filtri della sua produzione, lì dove l’autore si mette a nudo nella sua fragilità e negli affetti, scegliendo un tono accorato anche per la musica. La direzione è all’opposto di Beautiful, at Night, nessun stridore elettrico, niente febbre rock, semmai un languore elettro-acustico nel quale avvolgere i propri pensieri, che aprono sulle note brillanti del folk rock della stessa Beat the Night e si accomodano tra sprazzi di nuda verità, senza mai arrendersi alla sconfitta.

Capita con l’ammissione di I Got Hurt e la sincerità di Look at Me, volgendo poi lo sguardo all’amore di un abbraccio, di un ricordo famigliare con Hold me Tight e In Harm’s Way. Il suono è agrodolce, un po’ crepuscolare, tinteggiato di quelle cadenze alternative country che rimandano ai Richmond Fontaine di Willy Vlautin (chissà perché ogni volta la voce “spezzata” di Edward Abbiati me lo ricorda da vicino...) o al Jay Farrar (Son Volt) più intimo. È quello che ti aspetteresti da una tale confessione: con i bellissimi interventi della lap steel di Mike 'Slo Mo' Brenner (Marah), il violoncello di Simona Colonna ad aumentare il pathos, la punteggiatura aggiunta di Maurizio Gnola alla chitarra (con Abbiati firmano insieme Judgment Day #2), e molti di quei musicisti che in qualche modo hanno incrociato la loro strade con Edward in questi anni, Beat The Night appare come un disco semplice nella struttura, ma niente affatto "trasandato".

È nell’intensità di quello che dice e di come lo dice che lo si può apprezzare a fondo: possiede persino un cuore rock (l’ironia che attraversa 45, per esempio, che scalpita pur non servendosi di una batteria), senza darlo a vedere con effetti plateali, preferisce il faccia a faccia con le emozioni, parla candidamente di figli e amore (Three Times Lucky, Sleepwalking), quelle certezze che ti servono per restare in piedi quando attraversi il buio, dimostrando ancora una volta che la musica alla fine è la cura.


    

 


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