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Tom Petty
The Drum Is Everything: Tom Petty e l’eredità di Wildflowers |
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[a cura di Marco Denti] Trovare il batterista: è questo l’imperativo,
di ogni rock’n’roll band che si rispetti, ed è sorprendente
che nel cuore delle incisioni di Wildflowers, come
si vede in Somewhere
You Feel Free. The Making of Wildflowers, il nocciolo
della questione fosse proprio quello, e sì che di problemi
Tom Petty e gli Heartbreakers ne avevano un bel po’. Nel
bel mezzo della gestazione di Wildflowers, Tom Petty
doveva risolvere il contratto con l’MCA: gli deve un greatest
hits (e seguirà il fantastico box Playback) e così
con nonchalance gli regala un’altra grande hit (Mary Jane’s
Last Dance), e tanti saluti. È un momento transitorio
anche da un punto di vista personale: sta divorziando dalla
moglie, e deve trovare un nuovo batterista, perché il rapporto
con Stan Lynch si è ormai sfaldato. È così che il suo disco
più intimo e profondo, per certi versi anche il più doloroso,
diventa frutto di un lavoro collettivo e di una costruzione
articolata. Le canzoni spuntano una dopo l’altra, e una più
bella dell’altra, in un periodo complicato ma particolarmente
ispirato che spinge Tom Petty a circondarsi delle persone
giuste (a partire da Rick Rubin) e a dare forma a Wildflowers
con scelte coraggiose. Un capolavoro nasce da scelte complesse e questa è soltanto una delle prime. Quella principale è tornare a identificarsi con una certa naturalezza, proprio come diceva Tom Petty: “Con Rick (Rubin) siamo tornati a suonare dal vivo in studio, al contrario di costruire le tracce delle canzoni una alla volta”. È anche una scelta esistenziale: a Tom Petty non restava che la band anche se nella lavorazione di Wildflowers, gli Heartbreakers sono dispersi tra le righe e dentro l’enorme lavoro. Ma cambiando di posto agli addendi la somma non cambia: quello che Tom Petty ha costruito è un ideale di rock’n’roll band e si vedrà ancora di più nei concerti seguiti a Wildflowers. Poi ci sono voluti diciotto mesi per rispondere alle necessità di tutte le canzoni generate da Tom Petty, ma come ricordava Benmont Tench, il tastierista degli Heartbreakers: “Andava tutto bene. Ci è voluto un sacco di lavoro e un un sacco di tempo, ma è stato davvero divertente. Non c’è stato un momento in cui non era interessante. Wildflowers era quel tipo di cosa scritta nella roccia”. La lunga lavorazione ha contribuito a dipanare la matassa delle canzoni, senza snaturarle, visto che erano già belle solide nella versione casalinga, come era tipico nel processo di songwriting di Tom Petty. Ma lo studio di registrazione al servizio delle canzoni, usato in tutta la sua estensione, come hanno insegnato i Beatles, con l’orchestra compresa nel programma, ha dato una prospettiva in più. Succede anche per una coincidenza: lo studio Sound City nell’area di Van Nuys, siamo sempre a Los Angeles, era lo stesso dove è stato registrato Damn The Torpedoes. Una garanzia. Il processo è artigianale più che industriale, attento ai dettagli, alla costruzione delle canzoni non meno che all’interplay dei musicisti. C’è questo tappeto di chitarre acustiche che già aveva una sua logica in Into The Great Wide Open, ma che in Wildflowers ha uno spessore ben diverso. Ci sono piccole percussioni disseminate qui e là, c’è un suono di rullante diverso per ogni canzone, così come le armonie vocali. Quasi degli arrangiamenti fantasma che giocano a nascondino, e ci vuole un po’ per sentirli, ma che hanno un effetto particolare sulla costruzione delle canzoni in un sound pulito e particolarmente brillante. Certo, il rock’n’roll non è fatto di questi dettagli, ma qui siamo a una versione più matura ed evoluta e, alla base, c’è quell’attenzione al ritmo, come riconosce Rick Rubin, che viene dalla sua lunga frequentazione dell’hip-hop. Ascoltate bene la progressione minimalista di You Don’t Know How It Feels, quello è il punto di partenza, e di arrivo. La concentrazione di Tom Petty in un periodo di turbolenze è favorita da una squadra onnipresente di produttori: Rick Rubin a parte (che ha prodotto tutti), Tom Petty e Mike Campbell hanno composto e inciso insieme da una vita, compresa l’esperienza di Full Moon Fever. George Drakoulias, di passaggio, ha lavorato con i Black Crowes. Jim Scott, come tecnico del suono, è a sua volta un produttore che ha seguito una bella fetta della musica americana. Michael Kamen è un direttore d’orchestra rinomato, e, last but not least, Howie Epstein, bassista e corista degli Heartbreakers aveva vinto un Grammy con John Prine. Aperta parentesi. Howie Epstein era il leader della band di Del Shannon, il cui comeback era stato caldeggiato e poi prodotto da Tom Petty in person. Quando si ritrovò nella condizione di sostituire Ron Blair, fu la prima scelta e Tom Petty lo volle come membro a tempo pieno degli Heartbreakers in qualità di bassista e corista. Del Shannon, ritrovatosi senza band leader chiamò Tom Petty per provare a fermarlo, ma per tutta risposta si sentì dire: “Del, sei un grande e ti voglio bene, ma Howie viene con me”. Fine della storia. Il telefono brucia ancora adesso. Così vanno le cose. Chiusa parentesi. Tutte queste menti e questi talenti in una sola stanza sembrano il cast di un film, ma è la figura del songwriter, al centro dello studio, a dare forma compiuta alle canzoni. Come tutti i più grandi, Tom Petty ha sempre saputo che le canzoni non le inventi, ci sono già da qualche parte, devi solo (solo) tirarle giù. Il processo di scrittura è l’atterraggio e lo sappiamo fin dai tempi di Learning To Fly, che venire giù è la parte più difficile. Come ricordava Benmont Tench, nel lungo periodo di Wildflowers, le canzoni arrivavano “una dopo l’altra”, frutto di un momento rigoglioso, e l’apporto del gruppo si sente. Difficile pensare a qualcosa di più Heartbreakers di You Wreck Me (gli accordi sono tutti di Mike Campbell) o di Grew Up Fast, ma nel flusso che alimenterà i due dischi, ovvero Wildflowers e la felice coda di She’s The One, c’è una varietà che ha colpito lo stesso Tom Petty. Conversando con Paul Zollo, ha detto della varietà di Wildflowers: “Penso che colpisca ogni area della musica che mi parla davvero. Ha un po’ di rock’n’roll, un po’ di blues, un po’ di folk ... Penso che nel complesso, è un pezzo di musica molto lungo, è lungo quasi settanta minuti, ma è quello che mi colpisce davvero quando lo sento. Posso solo dire che, wow, sono davvero orgoglioso di questo lavoro”. È nell’origine delle canzoni che Wildflowers trova una fonte in più in quelle atmosfere folkie, oltre alle consolidate discendenze tra British Invasion, Beatles, Stones, Beach Boys, rhythm and blues e garage che gli Heartbreakers hanno mirabilmente distillato dentro il songwriting di Tom Petty. La dimensione della ballata (da Time To Move On a Fade On Me, fino a Harry Green tra le outtake, senza dimenticare Leave Virginia Alone concessa a Rod Stewart) si rivela congeniale e offre maggiori margini al lavoro in profondità di Tom Petty, che così aggiunge una sfumatura in più alla già complessa realtà della sua musica. Un’inedita visione acustica che rivelano le outtake e le alternate take di Wildflowers and All the Rest, Finding Wildflowers e Angel Dream. Di sicuro un modo di esplorare, attraverso le canzoni, temi diversi ed eccentrici (e su tutto valga l’irresistibile Girl On LSD o l’infinita versione di It’s Good To Be King) che però si ritrovano contestualizzati nel sound negli Heartbreakers sotto mentite spoglie. La versione alternativa di Crawling Back To You, una ballata che nella forma originale aveva il mood perfetto per la sequenza di Wildflowers, è strepitosa e come ha detto qualcuno spiega fin dove possono arrivare le affinità tra gli Heartbreakers e i Replacements. E lo stesso si può dire per Grew Up Fast o Climb That Hill (in tutte le versioni): dalla sorgente di Wildflowers sgorgherà anche una parte sostanziosa delle canzoni finite nella colonna sonora di She’s The One poi trasformato in Angel Dream. La sostanza è quella, con una patina di pop (di gran classe) in più e con l’aggiunta delle interpretazioni di Lucinda Williams e Beck, giusto per non fare torti. Tutto meraviglioso e comunque non si può dire nemmeno che Finding Wildflowers, Wildflowers and all the rest e Angel Dream corrispondano alla visione che Tom Petty aveva. Era quella di un doppio album, un classico che gli mancava nella sua discografia, ma nelle trattative con la Warner alla fine accettò di farlo uscire come singolo. Una scelta saggia, ma negli anni continuava ad accarezzare l’idea di riproporlo nella concezione originale, cosa che era stata annunciata a più riprese, ma era rimasta un punto di domanda. Stendiamo un velo pietoso sulla diatriba seguita alla scomparsa di Tom Petty, con gli Heartbreakers in un angolo e la famiglia incastrata in dispute legali. Quello è il risultato di chi pensa che le canzoni siano un prodotto, o qualcosa che abbia bisogno di una tutela. Non è così che funziona e non servono gli avvocati: ci vogliono un sacco di chitarre, le persone adatte e poi, sì, certo, più di tutto un batterista con il groove giusto.
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